Oggettivamente questa è stata una brutta settimana per la storia recente del nostro paese.
Di fronte ad alcuni macroscopici errori nella presentazione delle liste da parte del Pdl, il governo ha deciso di emanare un decreto - forse nella forma non inconstituzionale, ma certo nella sostanza contrario allo spirito costituzionale - per sanare di fatto quegli errori e permettere agli elettori della Lombardia e di Roma di trovare sulle loro schede elettorali simboli e candidati che un'interpretazione rigorosa delle leggi in materia elettorale avrebbe forse cancellato. Dico forse perché non sappiamo quale sarebbe stata la sentenza del Tar della Lombardia senza il decreto frettolosamente approvato il 5 marzo: probabilmente, come è avvenuto in molte altre occasioni, sarebbe prevalsa un'interpretazione favorevole al Pdl, nella logica - ormai prevalente nella giurisprudenza in materia - di favorire comunque l'espressione della volontà popolare. Diverso è il caso di Roma, dove gli esponenti locali del Pdl hanno proprio fatto un pasticcio, per incompetenza o - più probabilmente - per dolo, e la situazione non era sanabile in altro modo, se non con l'escamotage trovato nella notte.
Ormai però nel nostro paese finisce sempre per prevalere la logica dello scontro. Di fronte all'evidente errore, la maggioranza avrebbe dovuto riconoscerlo pubblicamente e chiedere di trovare una soluzione, invece ha deciso di forzare la mano, di andare ancora una volta alla resa dei conti, al "o con me o contro di me". E ancora una volta ha vinto; ha vinto ancora prima di cominciare la partita perché tutti, a cominciare dall'arbitro, hanno deciso di giocare con quelle regole.
Io continuo ad avere grande rispetto per Giorgio Napolitano e trovo francamente scomposte e stupide le critiche che in queste ore si stanno abbattendo su di lui. Questa volta però il suo errore, a mio avviso, è stato quello di accettare in maniera acritica la logica dello scontro. Ha perfettamente ragione quando dice che sarebbe stata una ferita profonda per la democrazia del nostro paese se i cittadini della capitale e della più importante regione d'Italia non avessero avuto la possibilità di votare per tutti i candidati più rappresentativi, che con grande probabilità risulteranno in maniera legittima vincenti nelle urne e quindi espressione della maggioranza in quei territori. E gli va dato atto del coraggio che ha avuto di spiegare immediatamente il senso della sua decisione. Ma ha sbagliato quando ha accettato di trovare una soluzione senza chiedere a Berlusconi e al Pdl il riconoscimento dell'errore, un atto, anche formale, di accettazione delle regole democratiche. Se Berlusconi avesse dichiarato di accettare le regole sulla presentazione delle liste e avesse chiesto il decreto per sanare le irregolarità, credo che il presidente Napolitano avrebbe fatto bene a sottoscrivere quella soluzione politica. E anche le forze dell'opposizione avrebbero dovuto accettarlo, perché, come ha detto giustamente Bersani, in democrazia è un problema vincere per mancanza dell'avversario.
Purtroppo non è andata così. Ha vinto Berlusconi perché, ancora una volta, ha vinto l'idea che le regole in questo paese sono un impaccio, una formalità, qualcosa che si può mettere da parte se ostacolano quello che si vuole fare. Ha vinto Berlusconi perché ha vinto l'idea che l'importante è quello che viene fatto, sono i risultati, la logica del "fare".
E infatti è altrettanto vergognoso - una delle altre cose brutte di questa settimana - che di fronte a quello che sta emergendo nella gestione degli appalti della Protezione civile, Guido Bertolaso continui a rimanere al suo posto. Bertolaso dovrebbe essere rimosso dal suo incarico per ridare dignità non tanto alle istituzioni, ma all'idea che in uno stato democratico esistono delle regole. Eppure sabato Bertolaso è stato perfino "benedetto" dal Pontefice, che spero non si sia reso conto chi aveva davanti e cosa gli hanno fatto leggere.
Questa settimana - ecco un'altra cosa brutta - la maggioranza del centrodestra del Senato ha tributato un applauso al senatore Di Girolamo, quando ha annunciato le sue dimissioni. Di Girolamo, nella migliore delle ipotesi, è stato eletto senatore nella circoscrizione estero, consapevole di non avere i titoli per esserlo, non residendo stabilmente appunto all'estero; nella peggiore delle ipotesi è stato eletto con i voti determinanti della 'ndrangheta e come referente istituzionale di una banda di criminali, che ha messo in piedi una delle più grandi truffe ai danni dello stato. Eppure è stato applaudito, mentre doveva essere cacciato a calci nel sedere, per avere infangato la dignità del parlamento.
Ha vinto Berlusconi perché ha consolidato l'obiettivo che è sempre stato alla base del suo agire politico: offrire una rappresentanza politica alla parte maggioritaria di questo paese, che è insofferente alle regole, che non vuole pagare le tasse, che pensa unicamente agli interessi propri e della propria famiglia, a scapito degli interessi degli altri. Berlusconi non rappresenta l'Italia di destra, ma questa Italia, che va a puttane e manda le figlie a scuola dalle suore, che si lamenta dei torti subiti e che, appena ha un po' di potere, lo esercita con lo stesso arbitrio, che pretende i servizi pubblici e non paga le tasse. Berlusconi ha vinto e vincerà perché rappresenta al meglio questa parte dell'Italia ed è riuscito a far credere che questa Italia è l'Italia del centrodestra .
E vince - e continuerà a vincere - perché ha contribuito a scavare un solco sempre più profondo tra gli italiani. A fronte di chi giustamente in queste ore e in questi giorni si è indignato, è sceso in piazza, ha protestato per l'attentato alla politica e alla Costituzione, ci sono gli altri che lo considerano sempre più un eroe.
Concludo, rubando una battuta che ho letto su Facebook: "ormai vedo il bicchiere mezzo rotto".
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