L'India è un paese che si sta rapidamente trasformando. Questo enorme paese, che ha più di un miliardo di abitanti, è la dodicesima più grande economia del mondo in termini nominali e la quarta in termini di potere di acquisto. Le riforme economiche degli ultimi anni hanno trasformato l'India nella seconda economia in più rapida crescita del mondo; questi risultati non bastano a nascondere le contraddizioni di questo sviluppo, l'altissima percentuale di poveri e la grande sperequazione nella distribuzione delle risorse. Così come il numero sempre crescente di matematici e di informatici indiani non nasconde il fatto che l'analfabetismo sia ancora una piaga di questa società.
Mi pare però che il tema che dovrebbe preoccupare non solo la società indiana, ma tutti noi, siano le forme con cui le classi dirigenti indiane hanno fatto sì che quel paese conoscesse questi livelli di crescita. In una mia precedente "considerazione" (la nr. 105, per la precisione) ho raccontato alcune delle conseguenze sulla società, e sulle donne in particolare, causate dalla decisione del governo di sviluppare il cosiddetto "turismo medico": per molte famiglie statunitensi ed europee l'India è diventata la meta per praticare quelle forme di inseminazione che non sono permesse nei loro paesi e per molte donne indiane fare la madre surrogata è diventato un vero e proprio lavoro: la mancanza di normative ha favorito la crescita di questo legalizzato "mercato" della fertilità.
C'è un altro terreno su cui l'India ha deciso di investire, quello dei rifiuti, uno dei grandi affari di questi anni. Anche qui è stato deciso di eliminare ogni regola e di liberalizzare le importazioni di rifiuti. I risultati sono stati stupefacenti. L'importazione di rifiuti e rottami di acciaio inossidabile è passata dalle 100mila tonnellate del 2003-04, per un valore di circa 80 milioni di euro, alle 336mila tonnellate del 2007-08, per un valore di 680 milioni di euro. E lo stesso è avvenuto per l'alluminio (passato da 99mila a 225mila tonnellate), per l'ottone (passato da 36mila a 75mila tonnellate) e per altri metalli; le ceneri e i residui dell'incenerimento sono passati dalle 400 tonnellate del 2003-20 alle 38mila del 2008-09; nello stesso periodo le batterie sono passate da 10o tonnellate a 2,8mila. Le industrie indiane si trovano così a disposizione grandi quantità di materie prime, anche se non di prima scelta, comunque a buon mercato.
La totale assenza di controlli provoca degli incidenti, perché non c'è nessuna distinzione tra rifiuti pericolosi e no. Nell'aprile scorso a Mayapuri, un mercato di rottami di New Delhi, undici persone sono state contaminate da un elemento radioattivo, il cobalto-60, presente in una partita di rottami di acciaio. E non si tratta del primo caso. Nel 2008 le autorità francesi non hanno permesso l'importazione di una partita di interruttori prodotti in India perché presentavano tracce di cobalto-60: evidentemente erano stati prodotti con acciaio ricavato da materiale riciclato e contaminato, arrivato in India magari dalla stessa Francia. Quello che giustamente non va bene per i lavoratori statunitensi o europei viene utilizzato regolarmente e senza nessun controllo dai lavoratori indiani. Oltre all'incidente du Mayapuri non ci sono dati su casi di contaminazione tra i lavoratori, anche perché non vengono effettuati controlli. E ora si sta aprendo la strada per l'importazione dei rifiuti elettronici, che, come ho scritto in un'altra "considerazione" (la nr. 100, per la precisione) ora sono spediti in Africa, anche qui in assenza di controlli.
Lo sviluppo dell'India, che pure è un elemento positivo, sta avvenendo a scapito della salute dei lavoratori e della tutela dell'ambiente. Quanto tempo occorrerà per capire che non è questo il tipo di cui abbiamo bisogno?
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