Sono passati quasi nove anni, ma questa notte finalmente è stata emessa una sentenza che serve a far luce su quello che è successo a Genova in occasione delle manifestazioni contro il G8, in particolare durante l'irruzione nella scuola Diaz. La terza sezione della Corte d'appello della città ligure ha ribaltato la sentenza di primo grado, che aveva assolto i vertici della polizia e condannato a pene lievi solo 13 dei 27 imputati. La nuova sentenza ne condanna 25. Il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri è stato condannato a quattro anni, l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a cinque anni, l'ex vicedirettore dell'Ucigos Giovanni Luperi - che oggi lavora presso l'Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna - a quattro anni, l'ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola - che adesso è vicequestore vicario a Torino - a tre anni e otto mesi, l'ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi a tre anni e otto mesi. Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono stati condannati a tre anni e nove mesi. Per i 13 poliziotti già condannati in primo grado le pene sono state inasprite.
Quello che è successo nella notte del 21 luglio del 2001 nella scuola Diaz, che il Comune di Genova aveva adibito come ostello per i giovani venuti da ogni parte d'Europa, è stato definito da uno degli stessi poliziotti "macelleria messicana". Ci sono video, foto, testimonianze: furono arrestati 93 giovani, che furono poi prosciolti, una sessantina di loro rimasero feriti, qualcuno anche in maniera grave. I poliziotti portarono loro stessi all'interno della scuola due bottiglie molotov per giustificare gli arresti.
Da parte mia non c'è davvero nessuna intenzione di criminalizzare la polizia e le forze dell'ordine; durante questi anni ho avuto modo di apprezzare tanti poliziotti, dirigenti e semplici agenti, che hanno fatto e fanno con coscienza e impegno il proprio lavoro, troppo spesso non riconosciuto. Mi disturbano certe semplificazioni, che purtroppo ancora si leggono, che portano a dire "polizia fascista". Probabilmente neppure nel caso della Diaz abbiamo assistito a un esempio di "polizia fascista", ma a una miscela di inesperienza, incapacità, malcelato senso di autoritarismo, che ha portato a questo episodio. Proprio per tutelare le donne e gli uomini che lavorano in polizia bisogna che chi si è macchiato di queste responsabilità sia allontanato da quel corpo. Francamente trovo vergognosa l'affermazione del sottosegretario Mantovano che stamattina si è affrettato a dichiarare che i condannati di Genova "resteranno al loro posto, perché hanno e continuano ad avere la piena fiducia del sistema di sicurezza e del Viminale". Su quello che è successo alla caserma Diaz negli anni si è alimentato un sistema di coperture e di omissioni che forse è perfino più grave dei fatti in sé, che pure sono molto gravi. Nessuno dei governi che si è avvicendato in questi anni, di centrodestra e di centrosinistra, ha avuto la forza per dire una parola chiara su quell'accaduto e il capo della polizia di allora è stato promosso, con il beneplacito di tutte le forze politiche, a capo dei servizi segreti. L'allora ministro dell'interno, Claudio Scajola, si dimise in seguito, ma solo per l'incredibile leggerezza con cui definì il professor Biagi un "rompicoglioni". Per inciso, Mantovano era già allora sottosegretario e francamente suona abbastanza interessata la sua difesa degli uomini che agirono nella scuola Diaz.
Sinceramente è difficile avere fiducia in uno stato che non riconosce le colpe delle proprie forze dell'ordine e non fa nulla per far sì che fatti del genere non avvengano. E' difficile avere fiducia in uno stato che di fronte al caso di un ragazzo morto in carcere per un'incredibile serie di responsabilità di guardie penitenziarie manesche, di dirigenti ligi solo alla burocrazia e di dottori incapaci, non riesce a dire una parola in grado di attenuare il dolore della famiglia e la rabbia dei cittadini, e soprattutto non riesce a definire norme che tutelino i carcerati. E' difficile avere fiducia in uno stato in cui dall'inizio dell'anno si sono suicidate in carcere 26 persone, una ogni cinque giorni.
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