Le cronache della prima guerra mondiale ci raccontano di comandanti che ordinavano insensati attacchi contro le linee nemiche, in cui perdevano la vita decine e decine di giovani soldati: operazioni votate all'insuccesso, destinate a spezzare, con la conquista di una collina o di pochi metri di terreno, la tragica immobilità della guerra di trincea.
Questo succedeva quasi un secolo fa; ora i generali sono ben più attenti all'opinione pubblica e quindi cercano di combattere una guerra asettica, "pulita", senza morti, almeno dalla propria parte del fronte. Un bravo generale, capace di controllare i giornalisti in una conferenza-stampa quanto i nemici sul campo di battaglia, sa che non solo deve vincere, ma non deve perdere neppure uno dei suoi uomini.
A Gaza l'esercito israeliano sta sperimentando da qualche tempo un sistema di fucili radiocomandati, posti sulle mura che delimitano i confini della Striscia, e manovrati in una sala di controllo, lontana e sicura, da donne soldato in forza all'Israel Defense Forces. Israele ha addestrato infatti un corpo scelto di donne soldato, di 19 e 20 anni, con il compito di stare sedute davanti a una consolle, controllando sullo schermo la linea di confine e manovrando i joystick di comando dei fucili. E' quasi un videogioco, ma naturalmente coloro che si trovano nel mirino di questi fucili non sono animazioni virtuali, ma persone in carne e ossa. Queste giovani donne soldato forse non potrebbero definirsi cecchini, eppure il loro compito è proprio quello: pattugliare attraverso una telecamera un tratto di muro, osservare movimenti sospetti e in caso che avvenga qualcosa di anomalo, sparare. Basta un click, la pressione sul bottone del joystick, e l'uomo al di là dello schermo cade a terra, senza alcun rischio per la ragazza che spara, che la sera può tranquillamente tornare a casa. Immagino che nessuna di loro sarà davvero tranquilla una volta ritornata a casa: decidere in pochi secondi della vita e della morte di una persona è una responsabilità che forse non andrebbe lasciato a un giovane da poco maggiorenne.
Non voglio in questa mia "considerazione" parlare di Israele e della Palestina, ho già avuto modo in altre occasioni di esprimere la mia opinione. Avrei scritto le stesse cose se il sistema di controllo radiocomandato fosse stato allestito da Hamas e gestito da giovani ragazze palestinesi. D'altra parte, nelle guerre in Iraq e in Afghanistan, gli Stati Uniti stanno utilizzando in misura sempre più massiccia i droni radiocomandati, controllati da basi militari nel Nevada. E altri stati si stanno dotando di questa tecnologia, se già non l'hanno sperimentata. E non voglio neppure soffermarmi sugli errori: i droni statunitensi hanno ucciso decine di civili, anche bambini, scambiati per terroristi così come i fucili israeliani hanno diverse volte colpito bersagli sbagliati: è in fondo una conseguenza inevitabile della guerra, visto che non esistono né bombe intelligenti né soldati infallibili.
Al di là di chi spara, mi preoccupa che vengano banalizzati la morte e il rischio di morire. In fondo chi si trova a guidare un drone o a maneggiare un fucile posto a chilometri a distanza finisce per non essere troppo diverso dal proprio coetaneo che quotidianamente siede davanti al suo computer, armato di joystick, per combattere una battaglia virtuale. Naturalmente non è così per chi si trova al centro del mirino, ma questo il soldato-giocatore, il soldato che non corre mai pericolo, rischia di non saperlo mai.
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