"Non è mai troppo tardi", come recita il titolo di un'antica trasmissione della Rai. Non è mai troppo tardi per riparare a un errore, se c'è l'onestà intellettuale di ammettere che è stato commesso. Come i miei sparuti lettori ormai sanno, io ho ritenuto un errore la decisione di far nascere il Partito Democratico e quello che sta accadendo in questi giorni credo mi stia dando ragione. Purtroppo.
I fatti sono noti: Walter Veltroni ha deciso di presentare un documento - di cui ci sono ampie anticipazioni in rete - per criticare l'attuale gestione del partito, rivendicando la necessità di tornare all'idea originaria che ha spinto i gruppi dirigenti dei Democratici di Sinistra e della Margherita a chiudere l'esperienza di quei partiti per fondare una forza politica che si voleva nuova, nel panorama italiano ed europeo. In sostanza Veltroni richiama il cosiddetto "spirito del Lingotto", ricordando che quel Pd raggiunse quasi il 34% alle elezioni politiche del 2008, in cui comunque fu sconfitto dal centrodestra. La decisione di Veltroni di richiedere un'adesione a quel documento, formalizzando di fatto la nascita di una nuova corrente nel partito, ha provocato la reazione stizzita e assolutamente prevedibile della maggioranza e di parte della stessa minoranza. Di fatto con Veltroni si sono schierati gli ex popolari e quei rutelliani che non hanno seguito Rutelli nell'Api.
Analizzando la questione dal suo punto di vista, credo che Veltroni abbia fatto bene a prendere questa decisione. Le critiche che gli vengono rivolte in queste ore, ossia la necessità di preservare l'unità del partito e l'inopportunità di indebolire il Pd in una fase di crisi del centrodestra, sono pretestuose. Trovare elementi di unità nel Pd è francamente un'impresa: un partito che nella sua breve storia ha cambiato tre segretari, ha subito defezioni, si è diviso su questioni fondamentali, non può davvero rivendicare il valore dell'unità. Riguardo al tema dell'inopportunità del momento, è evidente che la fine dell'età di Berlusconi, che, per quanto lenta, è innegabilmente cominciata, porta il quadro politico italiano a ridefinirsi. Al di là del giudizio di merito sulla sua azione di governo, Berlusconi ha dominato questi venti anni della vita politica, a destra quanto a sinistra e, come stanno facendo tutti i leader del centrodestra, da Fini a Casini, passando per Bossi, che cercano di essere pronti per quando Berlusconi cederà, è inevitabile che nel campo del centrosinistra avvenga qualcosa del genere.
Nel merito del documento, io credo che a Veltroni debba essere riconosciuta la coerenza delle proprie idee; da diversi anni egli immagina che debba essere superata l'esperienza storica della socialdemocrazia, per realizzare un soggetto riformista di nuovo tipo. Il problema è che questa ricerca non ha portato a un risultato concreto, ma è rimasta indefinita. Il discorso del Lingotto conteneva indubbiamente tante suggestioni, ma pochissima concretezza; il fatto stesso che il Pd come lo immagina Veltroni non riesca a inserirsi in nessuna famiglia politica europea è un segnale inequivocabile. Di fatto il Pd, sostenendo il superamento dei cosiddetti schemi del secolo scorso, ha finito per accettare la vulgata secondo cui nel mercato si trovano tutte le virtù, a scapito delle tutele dei lavoratori. Per semplificare il Pd di Veltroni è dalla parte di Marchionne pittosto che da quella della Cgil, perché il primo sarebbe l'alfiere della modernità e di un nuovo rapporto tra capitale e lavoro, mentre la seconda rimarrebbe ancorata a schemi vecchi. Veltroni ritiene legittimamente che il pensiero socialista non abbia più nulla da dire. Altrettanto legittimamente io credo non sia così, come ho cercato di dire in qualche altra mia "considerazione", ad esempio la nr. 157.
Il problema del Pd è che questa posizione, che - lo ripeto - io considero assolutamente legittima per quanto non la condivida, era ed è del solo Veltroni e di pochissimi altri. I gruppi dirigenti dei Democratici di Sinistra e della Margherita, nella loro grande maggioranza, hanno partecipato al percorso fondativo del Pd senza una vera adesione al progetto veltroniano e anzi con la segreta aspirazione di riuscire a imporre negli anni successivi i propri valori fondanti, che legittimamente ciascuno di loro ha continuato a coltivare. Schematicamente D'Alema e Bersani pensavano che il Pd alla fine sarebbe diventato il partito riformista e socialista, capace in Italia di diventare il perno di un'alleanza riformista, finalmente svincolato dalla necessità di avere la "benedizione" di un uomo di centro, cone è avvenuto nel 1996 con Prodi, mentre i cattolici del Ppi e i rutelliani pensavano che il Pd sarebbe diventato un partito di centro, dal profilo moderato, capace di attrarre la maggioranza di quel voto democristiano che ha finito negli anni per accasarsi a destra. Evidentemente le prospettive erano molte diverse ed era inevitabile che i nodi venissero al pettine; con Veltroni che si è trovato in mezzo a queste spinte contraddittorie.
E' indicativa di questo clima la proposta di Bersani, che ha ripetuto in questi giorni e che evidentemente riveste per lui un'importanza fondamentale, di costituire il nuovo Ulivo. Ora l'Ulivo è stata l'alleanza tra le due principali tradizioni riformiste di questo paese, quella socialista e quella cattolica, capace poi di attrarre altre culture politiche, come le forze ambientaliste; l'Ulivo aveva una vocazione maggioritaria, anche se allora non si usava questa formula. Ora non è molto chiaro cosa sia il nuovo Ulivo di Bersani e soprattutto non è chiaro quali siano i suoi interlocutori: teoricamente il Pd dovrebbe già essere l'alleanza tra i riformismi socialista e cattolico, anzi dovrebbe essere il luogo in cui questi riformismi sono stati superati per unirsi in un nuovo soggetto politico; in questo è naturale la vocazione maggioritaria di cui continua a parlare Veltroni. Il nuovo Ulivo di Bersani invece, includendo l'alleanza con Di Pietro e con i comunisti di Ferrero e Diliberto è molto più simile all'Unione, che pure tutti dicono di voler superare.
Personalmente continuo a pensare che i dirigenti del centrosinistra dovrebbero avere il coraggio di ammettere gli errori che sono stati fatti in questi anni, accettando che l'esperienza del Pd è stato un fallimento e decidendo di aggregarsi in forme diverse da quelle che sono state sperimentate in questi anni e che hanno portato a una sconfitta dietro l'altra. Tra l'altro questa confusione favorisce una tendenza centrifuga nei territori: caso eclatante è quello che sta succedendo in questi stessi giorni nell'assemblea regionale della Sicilia, dove il Pd si appresta a sostenere, insieme a un'improbabile coalizione di centrodestra, una nuova giunta guidata da Raffaele Lombardo. Naturalmente questo processo non esclude - anzi lo dovrebbe espressamente prevedere - che si ricostituisca un'alleanza tra tutte queste nuove forze, che hanno comunque dimostrato, durante il primo governo di Romano Prodi, di offrire una prospettiva riformista a questo paese.
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