venerdì 7 settembre 2012

Considerazioni libere (303): a proposito di corsi e ricorsi...

Due giorni fa Debora Billi ha provocatoriamente cominciato un piccolo gioco su Facebook e Twitter, chiedendo ai suoi interlocutori: "cosa facevate di ignobile vent'anni fa?". Per inciso, Debora - che non è mia parente - è l'autrice di due blog molto interessanti, Petrolio e Crisis - che spero visiterete e leggerete - su temi, come potete immaginare dai titoli, non banali; Debora è anche piuttosto schierata, e anche questo potete immaginarlo, visto che le faccio questa - non richiesta - pubblicità. Lei, che è la prima a fare outing, dicendo "applaudivo per strada al passaggio di Veltroni", ha cominciato questo gioco per ironizzare sui dirigenti del Pd che cercano le "cose ignobili" fatte da Grillo nel 1992, quando era "soltanto" un comico che probabilmente non immaginava cosa avrebbe fatto vent'anni dopo. Al di là del gioco - tutti abbiamo commesso degli errori di gioventù - il tema è interessante, perché noi, tutti noi, questi vent'anni li abbiamo in qualche modo passati e anche metabolizzati, ma non li abbiamo davvero capiti fino in fondo. Soprattutto non abbiamo fatto i conti con quel passaggio storico; è come quando si nasconde la polvere sotto il tappeto, può andare bene per una sera, ma alla fine lo sporco è destinato a tornare fuori. Questa estate il dibattito politico è ruotato principalmente intorno alle telefonate del presidente Napolitano intercettate dalla procura di Palermo e, a pensarci bene, tutto nasce da allora, dalla trattativa tra la mafia - o almeno una parte dello mafia - e lo stato - o almeno una parte dello stato - che si svolse proprio vent'anni fa, tra il '92 e il '93.
Io alle vicende di quei lunghi mesi, a cavallo tra il '92 e il '93, ho già dedicato due "considerazioni", la nr. 272 e la nr. 291, che spero andrete a rileggere. Scusate anzi qualche ripetizione, ma ci sono concetti che mi pare importante ribadire. Torno sull'argomento perché è fondamentale riflettere sulla storia, recente o passata che sia. In questo blog provo a farlo spesso.
Un'Italia stanca, disillusa, stremata dalla crisi economica, soffocata da un'illegalità diffusa e ostaggio in tante sue regioni di una potente criminalità organizzata, con una classe dirigente che ha perso ogni forma di autorevolezza e istituzioni che sono sempre più lontane dai cittadini: queste parole descrivono il paese di oggi o quello di vent'anni fa? Così era il paese nel '92 e così è ancora oggi purtroppo, peggiorato perché venti anni in più pesano, nella vita di una persona come in quella di un paese. E pesano tanto di più se in questi vent'anni non è successo nulla.
Quel biennio della storia italiana ha segnato la fine di una lunga stagione politica, tanto che molti cominciarono a usare l'espressione "fine della prima repubblica"; allora a sinistra pensavamo che non fosse così e che quell'espressione fosse usata in maniera impropria, ma ci sbagliavamo. Avevano ragione loro e la "seconda repubblica", che è sorta su quelle macerie, in questi vent'anni non ha risolto nessuno dei problemi posti allora dalla fine di quell'equilibrio politico nato al termine della seconda guerra mondiale e sopravvissuto a prove difficili, come la "strategia della tensione" e l'attacco del terrorismo. Il biennio '92-'93 ha segnato la fine dei partiti e credo sia questo, dal punto di vista strettamente politico, il segno più tangibile e più gravido di conseguenze di quegli anni. Dopo il '93 è stato di fatto impossibile ricostruire una democrazia dei partiti, come avevamo conosciuto nei decenni precedenti, con i suoi pregi e con i suoi difetti. Nel campo del centrodestra, a parte l'esperienza decisamente minoritaria dell'Udc - di cui parlerò dopo - si sono affermati soltanto partiti personali legati a una figura carismatica: alcuni, come Forza Italia e Lega nord, hanno avuto fortuna e sono riusciti a intercettare il consenso di molti elettori, altri sono abortiti praticamente ancor prima di nascere, come Futuro e libertà. Naturalmente un partito basato unicamente su un leader è destinato a sparire quando questi, per qualche ragione, scompare; in questi casi basta avere pazienza: laddove non arriva la politica, arrivano certamente le leggi biologiche. E infatti la Lega non esiste più, dopo che è finita la stagione di Bossi; e allo stesso modo è destinata a finire l'esperienza di Forza Italia, nonostante il tentativo - vero accanimento terapeutico - di tenere in vita B., che forse a questo punto preferirebbe egli stesso ritirarsi in una delle dacie messe a disposizione dall'amico Putin. Nel campo del centrodestra forse soltanto l'Udc ha provato a mantenere viva l'idea di partito, pur cedendo spesso alla tentazione di diventare una sorta di "lista Casini"; si tratta però di un partito dalla struttura debolissima, che in gran parte d'Italia è poco più radicato di quanto lo fosse il Pli negli anni '70 e che deve la sua consistenza elettorale essenzialmente ai rapporti clientelari di alcuni "padrini" locali e infatti i risultati elettorali più importanti li ottiene nella Sicilia, dove l'Udc è Cuffaro e gli amici degli amici di Cuffaro.
Anche nel campo del centrosinistra abbiamo assistito in questi anni alla nascita di partiti che sono di fatto appendici dei loro leader. Per diversi anni l'Italia dei valori si è chiamata anche Lista Di Pietro, denunciando il suo limite culturale, prima ancora che politico; limite reso ancora più evidente dall'incapacità di costituire un personale politico mediamente accettabile, visto che l'Italia dei valori è stata una delle formazioni preferite da voltagabbana e manigoldi della peggior risma, come il rubicondo De Gregorio. Sel, nonostante i buoni propositi, non è molto di più della lista personale di Nichi Vendola, come è apparso evidente nella vicenda Ilva. L'unica forza politica che in questi vent'anni ha tentato di rivendicare la propria ascendenza alla forma partito della "prima repubblica" sono stati i Ds, riuscendoci in maniera confusa, perché le spinte al suo interno erano assolutamente divergenti. Io sono uno di quelli che, quando ne ha avuto l'opportunità, ha lavorato in questa prospettiva e confesso che in questo mi sono sentito sconfitto: nel corso degli anni, nonostante gli sforzi di molti di noi, siamo sempre stati meno partito. Per inciso vale per l'ultima fase di vita dei Ds e per il Pd il ragionamento fatto prima per l'Udc: in molte regioni è sempre più l'insieme dei comitati elettorali di notabili locali. Il Pd comunque nasce proprio dall'idea di non essere un partito tradizionale e paradossalmente riunisce tutti quelli che nella "prima repubblica" hanno militato in partiti, segnatamente il Pci e la Dc, e che allora si consideravano avversari. Temo che da questo paradosso, come dalla volontà che da questo discende di voler rinunciare a essere una forza di sinistra, nasca l'incapacità di quel partito di essere un'alternativa credibile per il governo del paese e non solo, come avviene oggi, il meno peggio dell'offerta politica. E non mancano all'interno del Pd fenomeni che vanno nella direzione di un'ulteriore caduta verso forme di partito personale: Matteo Renzi con la sua retorica "nuovista" sta perfettamente in questo alveo. Lui non vorrebbe che lo inserissi tra i partiti di sinistra e probabilmente mi insulterebbe se leggesse questo blog, visto che la sua dialettica fatica a superare un certo spirito da fescennino e che la sua capacità ironica è un po' appannata, ma certamente il "partito" di Grillo è un movimento in cui il fascino personale del leader oscura ogni altro elemento.
Detto questo, dalla crisi della politica si esce attraverso la buona politica e non con formule più o meno magiche. Nel '92 molti pensavano che il cambiamento della legge elettorale in senso maggioritario sarebbe stato un elemento palingenetico, che avrebbe trasformato in meglio la politica italiana. Non è stato così, perché non è la legge elettorale in sé che migliora l'offerta politica o che ridona autorevolezza a chi l'ha perduta. Una cattiva legge elettorale, come quella che c'è adesso, può contribuire a peggiorare la situazione, ma non illudiamoci che quando questa cambierà migliorerà l'offerta politica. Non è avvenuto nel '92 e non avverrà nella prossima primavera. La legge elettorale è uno strumento che l'opinione pubblica italiana ha caricato nel corso degli anni di poteri salvifici. Non è così e temo che ce ne accorgeremo presto, ancora una volta. Un altro mito del '92 era quello delle riforme costituzionali, altro tema che ci siamo portati dietro per tutti questi vent'anni. Devo dire però che in questo campo qualcosa è avvenuto: le istituzioni di oggi non sono le stesse del '92, o meglio cominciarono a cambiare proprio allora. In questi due decenni è cambiata la "costituzione materiale" e infatti oggi il presidente della repubblica svolge un ruolo politico che non era immaginabile diciamo venticinque anni fa e che certo è lontano dallo spirito della Costituzione. E proprio perché fa direttamente politica subisce gli attacchi dei suoi avversari, come qualsiasi altro leader politico; in Italia poi si gioca spesso "sporco" e Napolitano adesso ne sta subendo le conseguenze, visto che tutti i giornali "lepenisti" hanno cominciato il cannoneggiamento contro il Quirinale. E, al di là della specifica vicenda di questi giorni, quanto sono cresciuti il ruolo attivo del potere esecutivo e l'influenza di quello giudiziario tanto sono diminuiti potere e influenza di quello legislativo.
Alla luce di quello che ho provato di spiegare, spero concorderete con me sull'idea che dalla crisi del biennio '92-'93 siamo usciti con meno democrazia. Da questa crisi, da questo passaggio, usciremo - temo - con margini ancora ridotti, anche perché la "stanza dei bottoni", quella che cercava Nenni quando nacque il centrosinistra, non è più a Roma, ma è a Francoforte nella sede della Bce e in quel posto segreto - l'unico segreto davvero inviolato, non c'è riuscito neppure quel "diavolo" di Assange - dove si riunisce la troika. Sarà sempre più difficile per "noi" schiacciare quel bottone.

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