lunedì 10 settembre 2012

Considerazioni libere (304): a proposito di un uomo in un'ambasciata...

Faccio un passo indietro. A cavallo del ferragosto, le impigrite redazioni dei giornali e delle televisioni di tutto il mondo si sono trovate di colpo a commentare la minaccia del governo inglese di prendere d'assalto l'ambasciata dell'Ecuador a Londra per arrestare Julian Assange, che si era rifugiato lì già dal mese di giugno.  Forse lo avrebbero fatto anche prima, ma avevano dovuto aspettare la fine della pax olimpica per intervenire con tale ferma decisione. Qualche reporter di assalto pregustava già lo scoppio di una breve e intensa guerra sudamericana - con annessa vacanza in qualche resort di lusso per seguire le truppe britanniche - ma naturalmente Cameron e il suo ministro degli esteri Hague, che ha gestito direttamente il caso, hanno dovuto prontamente rinfoderare la spada che avevano estratto per scimmiottare zia Margaret: qualche paziente funzionario del Foreign office ha loro spiegato che le ambasciate godono di speciali privilegi e che attaccarne una, tanto più di un piccolo paese dell'America del sud, sarebbe stato giudicato sconveniente - e antisportivo - perfino nei circoli più aristocratici di Londra. Al di là della brutta figura fatta dal governo inglese la vicenda di Assange merita una qualche riflessione in più, almeno per due aspetti molto diversi tra di loro.
Come è noto Assange è stato il cofondatore ed è la figura mediaticamente più rappresentativa di Wikileaks. Mi è già capitato di scrivere una breve "considerazione" sul tema - la nr. 184 - nel dicembre del 2010, quando è scoppiato il caso. Naturalmente mi fa piacere se andrete a leggerla - o rileggerla - ma sostanzialmente dicevo che ho un'opinione favorevole nei riguardi di Wikileaks e credo sia importante il lavoro fatto dalle persone che hanno costruito e alimentato quel sito; la penso ancora così e penso anche che, per quanto siano preziose le prove fornite dal sito, molti dei cosiddetti segreti non lo siano affatto: si tratta semplicemente di fatti già raccontati dai mezzi di informazione e dagli intellettuali non aprioristicamente schierati con i potenti di turno.
E' altrettanto noto che il governo della Gran Bretagna dice che vuole arrestare Assange soltanto perché questi è accusato di violenza sessuale in Svezia. Anch'io sono di quelli che pensano che una volta che Assange sia stato arrestato, in Svezia o in Gran Bretagna o in qualunque altro paese del mondo per un reato qualsiasi, compreso il furto di caramelle, esista il pericolo reale e concreto che venga immediatamente estradato negli Stati Uniti, al cui establishment politico e militare non importa nulla delle caramelle - figurarsi dei diritti delle donne violentate - ma che accusa Assange di cospirazione e di tradimento e probabilmente immagina di riuscire a sapere quali siano le vere fonti di Wikileaks, visto che è piuttosto incredibile che il soldato Bradley Manning sia riuscito da solo a fare un tale lavoro. Ma visto che la giustizia degli Stati Uniti ha mostrato qualche "difetto" quando i capi di imputazione sono il terrorismo e la cospirazione, ad esempio considerando legittimo l'uso della tortura, è naturale che noi democratici protestiamo affinché Assange non venga lasciato nelle mani, non proprio amichevoli, dei giudici statunitensi. Non sono più d'accordo invece quando sento dire - ed è capitato spesso in questi giorni, soprattutto dalla stessa parte "democratica" - che le donne che hanno accusato Assange stanno mentendo, oppure che sono state ingannate o ancora che le loro accuse sono state usate - in Italia ormai diciamo così - "a loro insaputa"; la cosa più stupida sentita è che forse la loro definizione di stupro era imprecisa. Chi decide la definizione di stupro? Troppo spesso la decidono gli uomini che in genere sono piuttosto autoassolutorii su questo argomento. Purtroppo quando si parla di violenze alle donne troppo spesso si dice che le vittime mentono; non è vero: la percentuale di menzogne in caso di stupro è uguale a qualunque altra accusa di natura penale e sta intorno al 3%. E come ci dimentichiamo troppo spesso, gli uomini che violentano le donne solo in una minima percentuale sono gli psicotici, quelli che colpiscono alla cieca, senza conoscere le loro vittime; nella stragrande maggioranza dei casi i violentatori sono persone "normali" e sono persone che conoscono le loro vittime, sono i mariti, i fidanzati, i padri, gli uomini della loro famiglia o sono persone che le donne conoscono e ammirano; sono "brave persone" per la mentalità comune e per l'opinione pubblica. Io temo che anche per colpa di quello che sta avvenendo attorno alla vicenda di Julian Assange si tenti di fare un passo indietro, al tempo in cui il consenso della donna non era poi così importante e la valutazione sull'uso o meno del preservativo non era influente per definire cos'è o cosa non è stupro. La cosa che mi indigna è che questo possa succedere nel nome della giustizia, nel nome della difesa della libertà di parola.
La seconda riflessione è di natura più strettamente politica e riguarda il motivo per cui Assange ha scelto di rifugiarsi nell'ambasciata dell'Ecuador e perché questo piccolo stato ha deciso di sfidare il "potere costituito" concedendo asilo al nemico pubblico nr. 1 dei "bravi" stati occidentali. Dal momento che non crediamo più alle favole e neppure alle dichiarazioni ufficiali degli uomini politici, certamente ha pesato sulla decisione del presidente Correa, al di là delle posizioni di principio, la volontà di presentarsi a testa alta davanti ai suoi concittadini, visto che tra poco si voterà in Ecuador: Correa rivendicherà il fatto di essere quello che ha tenuto testa alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. E giocherà questa carta anche con gli altri capi di stato dell'America del sud, di cui aspira a diventare se non il leader, almeno un punto di riferimento. C'è però qualcosa di più, che noi facciamo fatica a capire perché di quel continente abbiamo notizie molto frammentate e soprattutto mediate da organi di informazione che, per pigrizia o per malafede, sono rigorosamente "atlanticocentrici". Nell'America del sud sta avvenendo qualcosa che sfugge al controllo delle autorità finanziarie internazionali che per molti decenni hanno considerato quei paesi come cavie per sperimentare quelle ricette ultraliberiste, che prima hanno portato al fallimento l'intero continente e che adesso, riprodotte ancora una volta in maniera pedissequa, stanno facendo fallire la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l'Italia e così via.
Quei paesi, a partire dal Brasile e dall'Argentina, hanno deciso - ed è significativo che in questa scelta abbiano avuto un ruolo importante capi di stato donne, come Cristina Fernández de Kirchner, Dilma Rousseff e, ancor prima la cilena Michelle Bachelet - di provare a fare le cose in maniera diversa da come è stato predicato per anni dai soloni di Washington. L'Ecuador è il primo paese ad aver applicato il concetto di "debito illegittimo", rifiutandosi di pagare alla comunità internazionale i debiti contratti dai precedenti governi, perché ottenuti attraverso la corruzione, la violazione dei diritti umani e delle norme costituzionali. Nel dicembre del 2008 il presidente Correa ha annunciato di non riconoscere il debito di 11 miliardi di euro contratto dai suoi predecessori con una serie di banche degli Stati Uniti e in seguito rinegoziati attraverso il cosiddetto "piano Brady", dal nome del Segretario al tesoro di Reagan e di Bush padre. Il piano Brady, che riguardò gran parte dei paesi latino americani, permetteva loro di pagare il proprio debito contraendone un altro, sul quale sarebbero maturati nuovi interessi; tra il 1992 e il '93 molte delle compagnie statali vennero privatizzate, perché si stabilì che sarebbero state le risorse di metano e di petrolio a dover garantire il debito. Per inciso leggo che già qualcuno ha teorizzato un piano Brady per "salvare" la Grecia.
Quando l'Ecuador decise di non riconoscere più gli accordi del piano Brady, il Fondo monetario internazionale, allora guidato dal "progressista" Strauss Kahn decise di far fallire quel paese, secondo la nota massima "colpirne uno per educarne cento". L'Ecuador riuscì a sopravvivere perché Venezuela, Brasile e Argentina garantirono a quel paese forniture rispettivamente di petrolio, di grano e riso, di carne. Quella decisione dell'Ecuador e la reazione degli altri paesi ha segnato di fatto un passaggio storico per la storia recente dell'intero continente. La scelta di Assange forse non è casuale, certo non sarà priva di implicazioni politiche quella del governo dell'Ecuador di concedergli asilo. Al di là della questione in sé, ossia del diritto all'informazione - che comunque è fondamentale per ogni moderna democrazia - si gioca lì una partita che avrà conseguenze, se avremo la capacità di vederle.

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