Lettera, sost. f.
Chi legge con qualche regolarità queste note e chi ha la pazienza di seguirmi anche su Twitter e Facebook - siete molti di più di quelli che sarebbe ragionevole attendersi - sa che non ho ascoltato il Messaggio di fine anno. Mi pare comunque equo e reciproco: Lui non si cura di quello che penso io e quindi io faccio altrettanto. Non ho letto neppure i resoconti né ho ascoltato i servizi agiografici dei telegiornali, ma ho saputo, leggendo le bacheche di alcuni amici, che Lui ha letto alcune lettere.
E lettera è proprio la parola di cui voglio occuparmi oggi, per cominciare questo nuovo anno di Verba volant.
In italiano questa parola indica sia ciascuno dei segni con cui si rappresentano graficamente i suoni delle vocali e delle consonanti dell’alfabeto sia la comunicazione scritta che una persona indirizza a un’altra. In latino questa possibile confusione era risolta in questo modo: al singolare lĭttĕra era il segno alfabetico, mentre il plurale littĕrae era usato come sinonimo di epistŭla. Anche in greco antico il singolare gramma e il plurale grammata hanno questi due significati.
Al di là delle letterine a cui il Presidentissimo ha voluto magnanimamente rispondere nel corso del Suo Messaggio (dal 1 gennaio - come previsto dal decreto Milleproroghe, per evitare il reato di lesa maestà bisogna sempre usare la lettera maiuscola quando ci si riferisce, anche indirettamente, a Lui), c’è un’altra lettera che ha segnato in maniera profonda la storia recente del nostro paese. Sono certo che i miei attenti lettori non se ne sono dimenticati, ma vale comunque la pena ricordare quei giorni.
La Lettera - anche in questo caso è d’obbligo l’iniziale maiuscola - è quella firmata da Jean-Claude Trichet e da Mario Draghi - anche se verosimilmente è stata scritta solo da quest’ultimo - che venne fatta recapitare al nostro governo il 5 agosto 2011. In quei giorni la Lettera è stata evocata molte volte, alternando paure e speranze, ma rimanendo sempre segreta.
Proprio questa segretezza permise alle fantasie italiche di fare congetture sul suo contenuto, alimentando così quel particolare settore del mondo dell’informazione che si occupa di “retroscena“. Sotto l’egida della Lettera, segreta ed evocata, il governo italiano, allora rappresentato da Berlusconi e Tremonti, ha passato quell’estate a fare e a disfare manovre economiche, il cui unico effetto - nefasto per tutti - è stato l’aumento dell’Iva. Giova ricordare ai corifei del berlusconismo trionfante e anche ai leghisti - che in quel governo erano rappresentati da un tal Bobo Maroni, un modesto musicista di Varese - che l’Iva hanno cominciato ad aumentarla proprio loro.
Ricorderete certamente. Erano le settimane in cui scoprimmo lo spread e in cui sembrava che il paese stesse per fallire, se non ci fossimo affidati alle cure della Bce e dei suoi presidenti. Il 29 settembre di quello stesso anno - data maliziosamente scelta per rovinare il genetliaco dell’allora premier - il più autorevole quotidiano italiano, da sempre espressione dell’establishment e quindi naturalmente vicino al centrodestra - perché in natura i ricchi sono sempre di destra - pubblicò la Lettera e così scoprimmo che il suo contenuto era semplicemente il programma politico che il governo italiano avrebbe dovuto adottare, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Prendere o lasciare. E infatti l’Italia prese, prima con il governo Monti, poi con quello Letta, sempre con la copertura acostituzionale (sull’alfa privativo dovrò scrivere qualcosa un’altra volta) del Presidentissimo.
Va dato atto agli estensori della Lettera di essere stati chiari e concisi. La Lettera prevede che le decisioni in materia economica “siano prese il prima possibile per decreto legge“, a cui dovrà seguire “la ratifica parlamentare”. Eseguito; e infatti da allora il parlamento ha smesso di legiferare, limitandosi a ratificare, con voti di fiducia, i decreti del governo di turno, sempre firmati dal Presidentissimo, l’unico che in questi anni non è mai cambiato.
E’ chiara l’idea di democrazia che sta dietro alla Lettera. Chi l’ha scritta naturalmente sa che in una repubblica parlamentare, qual è l’Italia, le cose non funzionano - o almeno non dovrebbero funzionare - in questo modo, ma ritiene questa “riforma” un passaggio essenziale, tanto da prefigurare anche “una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio”. Eseguito anche questo; e infatti abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio e abbiamo approvato il fiscal compact, con effetti vincolanti.
Ovviamente la Lettera si occupa più di economia che di riforme istituzionali - anche se, en passant, è citata l’abolizione delle Province - ed è in questo campo che la cultura di destra è più evidente: “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali”, “privatizzazioni su larga scala”, “accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, ma con maggiore interesse sui licenziamenti, naturalmente. Sono poi citate l’abolizione delle pensioni di anzianità, la riduzione della spesa pubblica - anche “riducendo gli stipendi” dei dipendenti pubblici, noti fannulloni - controlli molto rigorosi sulle autonomie locali, con buona pace dei federalisti dei pratoni. Molto di questo è stato eseguito; e Letta e Renzi si preparano a fare il resto.
La Lettera dice molte cose, ma non parla di molte altre. Ad esempio non chiede che il fisco venga riformato affinché chi più ha di più contribuisca di più al bilancio pubblico e soprattutto che tutti paghino il dovuto; non chiede che si affronti con serietà il fatto che una parte sempre più rilevante dell’economia italiana è in mano alla malavita organizzata; non affronta l’enorme e ormai insopportabile differenza tra donne e uomini nel mondo del lavoro; non cita le condizioni di precarietà di tantissimi lavoratori; non parla del divario che continua a crescere tra i pochissimi che sono sempre più ricchi e i moltissimi che sono sempre più poveri.
La Lettera infine è presentata come l’unica soluzione possibile, suggerita da un’autorità super partes - peraltro non eletta democraticamente - tecnica e non politica. Qui c’è evidentemente un trucco, che però questi maghi sono molto abili a mascherare.
Ecco, se dovessi mai scrivere al Presidentissimo gli chiederei come mai, a un certo punto, il nostro paese ha deciso di applicare alla lettera la Lettera.
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