Zingaro, s. m. e agg.
Dal punto di vista strettamente etimologico si tratta dell'adattamento italiano di uno dei nomi, atsigan e più tardi tsigan, con cui si indicava questo popolo nomade, sul calco del greco medievale athinganos, che significava intoccabile e che designava una setta di manichei provenienti dalla Frigia. Da qualche tempo abbiamo cominciato a chiamarli più giustamente rom, che nella loro lingua, lo zingaro o romani - una lingua antichissima che risale al sanscrito - significa propriamente uomo, marito, un po' come il latino vir.
In campagna elettorale - e non solo - gli zingari sono un facile bersaglio polemico. Lo abbiamo appena visto a Bologna, dove abbiamo assistito, proprio davanti a un campo rom, allo scontro tra due opposte schiere di cretini, a cui non importa nulla né degli zingari né dei problemi che i loro campi creano, ma volevano soltanto farsi notare dalle televisioni, come un qualsiasi esibizionista.
Ho citato l'etimologia di questa parola antica, perché in Europa gli zingari ci sono sempre stati. E ci sono sempre stati i pregiudizi verso di loro, come ci
sono sempre stati verso gli ebrei. Nelle società
contadine la loro capacità di allevare i cavalli e di lavorare i metalli
faceva sì che i rom avessero un loro posto nell'ordine economico e
sociale - uno degli ultimi certo, ma comunque un posto. Quel popolo e le nostre rappresentazioni degli zingari - e delle zingare - hanno un posto nella cultura europea, basti pensare al nostro melodramma.
Quando le loro capacità non sono più servite, sono rimasti i pregiudizi, aggravati
dal fatto che per molti di loro l'unica forma di sussistenza è stata la
beneficienza e l'elemosina e per troppi la delinquenza e la
prostituzione.
Quindi sono nati ai margini delle grandi città - ma non
in tutta Europa, perché esempi migliori ci sono - in maniera più o meno
tollerata dalle amministrazioni, campi nomadi, più o meno organizzati, più o meno finanziati, che da un lato hanno
esasperato quelli che già abitavano in quelle periferie, spesso appartenenti alle
fasce più deboli della popolazione, e dall'altro lato hanno favorito i
criminali che ci sono tra gli zingari, dando loro l'occasione di poter
reclutare sempre nuovi giovani nelle loro bande. E' oggettivamente molto
probabile che un giovane rom che è sempre stato respinto dalla società
accetti di far parte di una banda per trafugare il rame o per spacciare
droga o per commettere furti negli appartamenti. E' la stessa ragione per cui troppi giovani del sud preferiscono stare in una cosca piuttosto che vivere in maniera onesta in un paese che non ti offre nessuna possibilità.
Non in tutti i paesi
è avvenuto questo. In Grecia ad esempio, anche con l'aiuto delle
amministrazioni pubbliche, i rom sono diventati commercianti ambulanti,
garantendo la fornitura di generi alimentari e di prima necessità ai
villaggi e alle case sparse in quel territorio montuoso, dove i
trasporti sono difficoltosi e la mobilità delle persone, specialmente
anziane, molto complicata. Queste famiglie non vivono nei campi; certo
esistono ancora pregiudizi nei loro riguardi, ma non è un problema
sociale così diffuso, come in Francia, in Italia o in Spagna.
Il
problema degli zingari è molto complesso e francamente non basta
scandalizzarsi se un qualche amministratore propone un bus solo per loro, salvo poi dimenticarci dei problemi di quelle periferie, passata l'indignazione. Non bastano i buoni sentimenti. Anzi i buoni sentimenti,
gli appelli all'integrazione non servono né alla causa dei rom né a
convincere la maggioranza delle persone che, al di là delle proprie
convinzioni politiche, ritiene giusto agire con durezza verso gli
zingari. Per troppi anni in Italia, per l'influenza della dottrina
cattolica da un lato e delle idee di sinistra dall'altro, è stato
prevalente un atteggiamento che possiamo definire buonista - benché
questa parola non mi piaccia molto, mi pare renda abbastanza bene
l'idea.
Pubblicamente si difendevano i diritti degli zingari, trovando
giustificazioni anche per chi tra loro commetteva reati, privatamente si
continuavano a coltivare dei pregiudizi. Questo atteggiamento ha
portato a cercare di nascondere il problema, delegando di fatto al
volontariato e alle reti delle parrocchie l'aiuto delle famiglie degli
zingari e sperimentando l'integrazione unicamente nelle scuole, con
insegnanti spesso impreparati a questo compito. E gli amministratori
hanno, un po' furbescamente, provato ad assecondare la maggioranza dei
loro concittadini, cercando di non avere il "problema" sul loro
territorio e magari scaricandolo su quello vicino.
Non esistono
"ricette" per affrontare il problema, ma sicuramente né le false e
ipocrite politiche di inclusione né le semplici politiche di repressione
servono ad affrontare il problema. Bisogna davvero perseguire chi
commette reati, agendo con durezza, ma allo stesso tempo si deve togliere a chi delinque la possibilità di reclutare nuovi delinquenti;
per questo occorre chiudere i campi rom e dare occasioni ai ragazzi che
lo chiedono di fare una vita diversa, dignitosa. Qualcuno di loro ce lo chiede, se
abbiamo la voglia di ascoltarli; certo non tutti, ma questo non può diventare un alibi per noi. E dobbiamo essere consapevoli che una brutta periferia rimane una brutta periferia, anche se non c'è un campo nomadi.
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