giovedì 22 gennaio 2015

Verba volant (158): voto...

Voto, sost. m.

Votus è il participio passato del verbo latino vovere, che significa promettere solennemente. Il votum è prima di tutto una promessa fatta a un dio, attraverso cui un uomo si impegna a fare qualcosa a cui non sarebbe tenuto, quindi indica un obbligo strettissimo che un uomo si impone e, per estensione, un impegno e infine una dichiarazione della propria opinione, un suffragio. E con tutti questi significati la parola è passata in italiano: Manzoni racconta del voto di castità di Lucia, quando, pregando la Madonna, le dice:
rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che vostra. 
Curiosamente in italiano questa parola indica anche la valutazione di merito che si riceve a scuola. Francamente non è semplice capire il nesso che ha portato a questo ultimo significato, che peraltro è riscontrato solo in italiano, tra le lingue neolatine.
In questa definizione però mi voglio occupare del voto nel suo significato politico, per discutere con voi di una questione che è stata sollevata in questi giorni sulla proprietà dei voti. Infatti Renzi e Cofferati hanno alternativamente rivendicato la proprietà dei 120mila voti che hanno permesso all'ex segretario della Cgil di essere eletto al parlamento europeo. Il Cinese dice che sono suoi, mentre Renzi ne rivendica la proprietà, chiedendo quindi le dimissioni di Cofferati e la "restituzione" del seggio. Non entro nel merito della vicenda politica, anche perché chi legge con una qualche costanza queste definizioni, sa bene che difficilmente io potrei prendere le parti del presidente-segretario, neppure quando avesse ragione.
Ma mi infastidisce un po' questa idea che entrambi danno del voto, perché il voto non è loro, ma nostro, ciascuno di noi è padrone del proprio voto. Anzi ciascuno di noi dovrebbe ricordarsi che si tratta di un bene che ha un valore molto alto e che, di conseguenza, non dobbiamo né gettarlo via né dimenticare di averlo. Purtroppo qualcuno lo vende, in genere per un tozzo di pane, o perché è disperato e non sa più come fare o perché non ne conosce il valore. Non sa che con quel voto si può raggiungere ben più di un tozzo di pane e che per conquistare quel voto - anche il suo voto - molte persone hanno sofferto e sono morte.
Mi piacerebbe che riscoprissimo il valore etimologico del voto, che è appunto qualcosa di sacro. Me li ricordo i vecchi del mio paese che per andare a votare si mettevano il vestito della festa, non solo perché era domenica, ma perché facevano qualcosa di importante, per loro e per gli altri, qualcosa che era, a suo modo, un rito. Mi piacerebbe che chi ha una qualche responsabilità, chi viene votato, cominciasse a pensare che i voti che riceve non sono suoi, non diventano di sua proprietà e che quindi non può farne quello che vuole, ma che i voti rimangono di proprietà delle persone che sono andate a votare e hanno dato una qualche fiducia a quella persona piuttosto che a un'altra.
Credo che questa sia l'unica riforma elettorale di cui avremmo davvero bisogno.

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