Emissione, sost. f.
C'è una dilagante e nauseabonda ipocrisia nei commenti che leggiamo in questi giorni sulla vicenda Volkswagen, ben più tossica dei gas di scarico di quelle automobili. Ovviamente non ho alcuna simpatia per quell'azienda - sono padroni come gli altri, né migliori né peggiori - ma vorrei ricordare che l'editore di due tra i più importanti quotidiani italiani - il primo e il quarto per copie vendute - è anche il padrone di un'altra fabbrica di automobili, concorrente della casa tedesca. Difficile credere che i giudizi, così virilmente sdegnati, dei redattori a libro paga di Marchionne non risentano di questo conflitto di interessi, di cui per anni abbiamo fatto finta di non accorgerci.
Poi noi italiani non abbiamo alcuna simpatia per i tedeschi, non riusciamo a farceli piacere, li abbiamo mal tollerati anche quando siamo stati loro alleati "di ferro": e quindi gioiamo delle loro debolezze, delle loro pecche, delle loro cadute. E naturalmente agli organi di informazione, nazionali e nazionalisti, non pare vero di inzuppare in questo sentimento antigermanico. Anche il nostro governo sotto sotto gode di questo scandalo, non solo perché il premier riceve laute prebende dal padrone della fabbrica di auto che un tempo fu italiana, ma soprattutto perché può finalmente guardare con sufficienza la sua collega di Berlino, senza dover aspettare un'altra partita di calcio.
Ma al di là di queste piccole beghe, non capisco davvero dove stia lo scandalo. I padroni della Volkswagen hanno mentito per vendere più automobili e quindi per guadagnare di più: è l'essenza del capitalismo. E' naturale che i padroni mentano per vendere più automobili, più hamburgher, più cosmetici, più bevande gassate, più pneumatici, più spaghetti, più computer, più di ogni altra cosa. Più una cosa ci fa male, più loro inventano storie, più una cosa è inutile, più loro dicono bugie. Il capitalismo si regge su queste menzogne, anzi ne ha bisogno per vivere e per prosperare. Il capitalismo è menzogna, è frode, i padroni ogni giorno truffano i loro lavoratori, non pagandoli in maniera adeguata per quello che producono - a volte non pagandoli affatto - non riconoscendo il frutto del loro lavoro, della loro fatica, del loro genio. E naturalmente devono truffare i consumatori affinché acquistino, e acquistino, e acquistino; senza fermarsi. Viviamo in una società che non ci considera come persone o come cittadini, ma solo come consumatori, ciascuno di noi vale tanto quanto consuma, quanto spende, quanto getta via per poi ricomprare. In una società così non è importante che un'auto inquini poco, ma che venga comprata e, se viene comprata perché crediamo che inquini poco, ci diranno che inquina poco.
I padroni non riconoscono le regole, non possono riconoscere delle regole, perché il capitalismo è per sua natura sfrenato e bestiale. Anzi tutta la storia di questi ultimi trentacinque anni - o giù di lì - è dominata dalla reazione rabbiosa, animalesca, sfacciatamente violenta - e purtroppo vittoriosa - che il capitale ha scatenato contro le regole che gli sono state imposte, con fatica e a prezzo di lotte durissime, nei cosiddetti trenta gloriosi, nei tre decenni che seguirono la fine della seconda guerra mondiale. In quegli anni la politica, grazie anche al protagonismo di una classe di lavoratori consapevole della propria forza e dei propri diritti, aveva in qualche modo preso il controllo di quella bestia immonda, ma poi le catene si sono spezzate e adesso è ancora più pericolosa, perché la cattività l'ha resa, se possibile, ancora più feroce. I padroni sono disposti a uccidere interi popoli pur di salvaguardare i propri interessi, pur di aumentare i loro guadagni, cosa volete che freghi a loro di quanta Co2 butta fuori un'automobile.
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