lunedì 9 gennaio 2017

"La bellezza è un sogno" di Zygmunt Bauman

Noi umani possediamo il linguaggio, strumento capace di operare meraviglie, che ci permette di dare un nome alle cose esistenti, ma anche, ancor più miracolosamente, alle cose che non esistono ancora: alle cose come sono e alle cose come potrebbero essere. Grazie al linguaggio possiamo fare scelte: possiamo respingere certe cose in nome di altre, e possiamo anche parlare e pensare a cose che devono o possono ancora venire. Siamo animali "trasgressivi" e "trascendenti" e non possiamo farne a meno. Viviamo in anticipo sul presente. Le nostre rappresentazioni anticipano le nostre percezioni. Il mondo che abitiamo è sempre un passo, o un chilometro, o un anno luce più avanti rispetto al mondo di cui facciamo esperienza. La parte di mondo che sopravanza la nostra esperienza vissuta viene definita "ideale": gli ideali ci devono guidare in territori per il momento inesplorati e per i quali non esistono mappe.
La "bellezza" è uno degli ideali che ci guidano al di là del mondo già esistente. Il suo valore risiede pienamente nel suo potere di guida. Se mai arrivassimo al punto segnato dall'ideale della bellezza, essa perderebbe il suo potere: il nostro viaggio giungerebbe al termine. Non ci sarebbe più nulla da trasgredire o da trascendere, e quindi nemmeno umana per come la conosciamo. Ma forse, grazie al linguaggio, e all'immaginazione che il linguaggio rende tanto possibile quanto inevitabile, quel punto non può mai venire raggiunto.
Definiamo "belle" molte cose, ma di nessuna cosa che definiamo in questo modo possiamo dire onestamente che non possa conoscere un progresso. La "perfezione" è sempre "non ancora". Uno stato di cose nel quale non sia desiderabile alcun progresso è il sogno solo di coloro che devono progredire molto. Forse il concetto di perfezione costituisce un elogio dell'immobilità, ma compito di tale concetto è impedirci di rimanere immobili L'immobilità si trova nei cimiteri, eppure, paradossalmente è il sogno dell'immobilità a tenerci in vita. Fin tanto che il sogno resta irrealizzato contiamo i giorni, e i giorni contano: abbiamo uno scopo e un lavoro da portare a termine...
Non che un compito sempre testardamente e clamorosamente incompiuto sia un bene incondizionato o rechi felicità incontaminata. La condizione del "lavoro incompiuto" possiede molte attrattive ma, come tutte le altre condizioni, è meno che perfetta.
La memorabile sentenza di Robert Louis Stevenson, secondo la quale «viaggiare con speranza è meglio che arrivare», non è mai suonata più vera che nel nostro mondo moderno, liquido e fluido. Quando le mete si spostano o perdono di fascino più rapidamente di quanto le gambe riescano a camminare, le auto a muoversi e gli aerei a volare, restare in movimento conta più della meta. «Come fare» sembra più importante e urgente rispetto a «cosa fare». Impedire che tutto quel che facciamo in quest'istante divenga un'abitudine, non farsi vincolare dall'eredità del proprio passato, indossare l'identità attuale come si indossano le magliette, sostituibili quando non servono più o sono fuori moda, respingere gli insegnamenti del passato e abbandonare le competenze del passato senza pudori o pentimenti, tutto ciò sta diventando l'elemento distintivo dell'attuale politica della vita e attributo della razionalità nella modernità liquida. La cultura della modernità liquida non è più una cultura dell'apprendimento e dell'accumulazione, come le culture che conosciamo in base alle descrizioni degli storici e degli etnografi. E' invece una cultura del disimpegno, della discontinuità e della dimenticanza.
In questo tipo di cultura, e nelle strategie di politica della vita che essa approva e promuove, non c'è molto spazio per gli ideali. Ancor meno spazio c'è per gli ideali che sollecitano uno sforzo sostenuto, di lungo periodo, fatto di piccoli passi compiuti verso obiettivi che, per ammissione di tutti, sono distanti. Né c'è spazio per un ideale di perfezione che derivi tutto il suo fascino dalla promessa di porre termine alla scelta, al cambiamento, al progresso. Per essere più precisi, tale ideale può ancora librarsi sul mondo vitale di uomini e donne della modernità liquida, ma solo come sogno, sogno il cui avveramento nessuno si attende più, sogno notturno che svanisce d'un tratto con la luce del giorno.
Ecco perché la bellezza, nel suo significato ortodosso di ideale per cui combattere e morire, sembra star passando un brutto periodo.
Il significato della "bellezza" subisce impercettibilmente un cambiamento fatale. Negli usi attuali del termine i filosofi stenterebbero a riconoscere i concetti da loro costruiti attraverso i secoli con tanta serietà e fatica. Soprattutto non troverebbero il legame tra bellezza ed eternità, tra valore estetico e durevolezza. Pur tra controversie furiose, tutti i filosofi hanno concordato che la bellezza si solleva al di sopra dei volubili e fragili capricci privati, e che, anche se potrebbe esistere una "bellezza a prima vista", sarebbe il corso del tempo a comprovarla. Non troverebbero nemmeno la «pretesa di validità universale» che a loro giudizio era attributo indispensabile di ogni giudizio propriamente estetico. La cultura dell'azzardo ha rimosso dal cartellone questi due aspetti, entrambi macroscopicamente assenti dagli attuali usi più comuni del termine "bellezza".
Il mercato dei consumi e i modelli di condotta che esso richiede e coltiva si adattano alla cultura dell'azzardo della modernità liquida, la quale, a sua volta, si adatta alle pressioni e alle seduzioni del mercato. Entrambi sono in perfetto accordo, si alimentano e si rafforzano a vicenda. Per non far perdere tempo ai clienti e per non pregiudicare le loro gioie future, quindi imprevedibili, il mercato dei consumi offre prodotti rivolti al consumo immediato, preferibilmente usa e getta, fatti in modo da non ingombrare la spazio vitale quando non saranno più di moda. I consumatori, confusi dal vorticare delle mode e dal ritmo sempre più accelerato dei loro cambiamenti, non possono più basarsi sulla propria capacità di apprendimento e memorizzazione: pertanto ascoltano di buon grado chi li rassicura che il prodotto attualmente offerto è "l'oggetto da avere", "l'ultimo grido", un must in o con cui farsi vedere.
Il valore estetico, eterno e "oggettivo", del prodotto è l'ultima cosa di cui preoccuparsi. Né la bellezza è "nell'occhio di chi guarda". Al contrario, il suo luogo è la moda attuale: pertanto essa è destinata a divenire bruttezza non appena la moda corrente verrà sostituita, il che avverrà di sicuro, e presto. Il mercato possiede la stupefacente capacità di imporre alle scelte dei consumatori, ostentatamente individualistiche e quindi potenzialmente casuali e sparse, un modello regolare, per quanto di breve durata, senza il quale essi si sentirebbero completamente disorientati e perduti. Il gusto non è più una guida sicura, l'apprendimento e la fiducia nella conoscenza già acquisita sono trappole invece che aiuti, e il comme il faut di ieri può trasformarsi senza preavviso in comme il ne faut pas.
Nella nostra società della modernità liquida la bellezza è andata incontro al medesimo destino subito da tutti-gli-altri ideali che in passato hanno alimentato l'irrequietezza e lo spirito di ribellione. La ricerca di armonia totale e di durata eterna è stata riscritta, puramente e semplicemente, nei termini di un impegno frutto di cattivi consigli. I valori sono tali fin tanto che si prestano al consumo istantaneo e sul posto. I valori sono attributi di esperienze momentanee. Così è la bellezza. E la vita? La vita è una successione di esperienze momentanee.

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