venerdì 5 maggio 2017

Verba volant (380): bottiglia...

Bottiglia, sost. f.

L'assessore alla cultura del Comune di Bologna ha annunciato nei giorni scorsi che la collezione del Museo Giorgio Morandi rimarrà definitivamente nella sede del Museo d'Arte moderna, dove era stata trasferita, in via provvisoria, nell'ottobre del 2012, a seguito della decisione presa in quelle settimane di effettuare una serie di lavori nella sede storica di Palazzo d'Accursio in piazza Maggiore, resi urgenti anche dalle scosse di terremoto di qualche mese prima. 
Il trasferimento di un museo - seppur rilevante come questo - non dovrebbe essere una notizia, se non di servizio per informare cittadini e turisti, se non fosse che questa decisione viola un preciso impegno stipulato negli anni Novanta tra l'amministrazione comunale e la sorella dell'artista, che decise di donare questa preziosa collezione al Comune di Bologna a patto che fosse ospitata nella sede del palazzo civico e che, accanto alle opere, fosse ricostruito lo studio in cui l'artista viveva e lavorava in via Fondazza. Invece lo studio è stato riallestito nella casa dell'artista e quindi lontano dalle opere che lì sono nate - e lì rimarrà - e soprattutto la collezione di dipinti di Giorgio Morandi, la più grande del mondo, sarà ospitata in maniera permanente in una sede diversa, per quanto prestigiosa. E quindi quel patto è stato violato.
Suppongo che ci siano le condizioni legali per dire che questo trasferimento è legittimo, alcuni giuristi si sono già espressi sul tema per sostenere la tesi del Comune e io non ho certo le competenze per dire che questo trasferimento è illegale - e francamente mi interessa anche poco cosa dicono le carte - la cosa grave è che è stato violato un accordo e questo è una violenza esercitata contro chi lo ha contratto, anche se fosse stato solo informale, e quindi Maria Teresa Morandi e Renzo Imbeni, ossia tra chi possedeva in maniera legittima tutte quelle opere e quindi in qualche modo rappresentava l'artista e la sua memoria e chi rappresentava la città. 
E' una violenza che si fa a un tempo contro l'artista e contro la città. Vedendo quello che succede ogni giorno nel nostro paese questa potrà sembrare una cosa di poco conto. In fondo il museo c'è ancora, in un paese in cui i musei chiudono o vivono in maniera sempre più stentata, dopo tutto lo studio è ancora lì ed è possibile visitarlo, in un paese in cui si esercita così poco la memoria. Eppure quel patto violato credo debba essere considerato in maniera grave.
Il museo Morandi, ovunque venga aperto, merita una vostra visita, le opere sono bellissime e proprio il fatto che i quadri siano così tanti ci permette di godere in maniera piena del genio dell'artista delle bottiglie e dei vasetti. E non era un effetto per stupire, come troppo spesso si vede nelle collezioni d'arte e nei musei, né una forma di voyeurismo artistico osservare lo studio di Morandi proprio accanto alle sue opere, perché fa impressione vedere i pochi oggetti, qualche bottiglia, un paio di brocche, i vasi, le scatolette di latta, che l'artista componeva e ricomponeva, sempre gli stessi, e poi dipingeva in quadri che miracolosamente ci appaiono tutti diversi, anche se i soggetti sono sempre quelli. E vedere quello studio, i pochi oggetti dell'artista, ci serve a ricordare gli anni terribili in cui Giorgio Morandi fece quei dipinti: gli anni del regime fascista e dei totalitarismi, della guerra mondiale, della paura della catastrofe nucleare, e mentre fuori il mondo sembrava ogni momento sull'orlo del precipizio, pronto ad autodistruggersi, Giorgio Morandi creava le sue bottiglie, i suoi vasi, le sue poetiche composizioni. 
Alcuni giorni fa è stato l'ottantesimo anniversario della strage di Guernica, che noi ricordiamo per il grande quadro che Pablo Picasso dedicò a quell'episodio terribile. Mentre Picasso dipingeva Guernica, Morandi componeva le sue bottiglie, i suoi vasi. E quelle bottiglie ci raccontano comunque quel secolo, i suoi drammi, le sue speranze. Per questo Giorgio Morandi è uno dei più importanti artisti europei del Novecento, un grandissimo, il cui museo merita di essere al centro della città in cui l'artista visse, insegnò, lavorò. E soprattutto merita di essere un centro culturale, un luogo di studio, di ricerca, di formazione permanente. Ricordo l'entusiasmo con cui allora la città visse questa donazione e la possibilità di creare questo polo culturale, e anche per questo sento così forte la violazione di quel patto. Ma so anche che per molto tempo il museo Morandi è stata un'occasione persa - o non sfruttata in maniera adeguata - per la città. Non so se questo trasferimento diventerà l'occasione per ricucire un filo che si è presto interrotto, ma - al di là delle parole con cui viene annunciata - temo che non se ne farà nulla, anche per il modo in cui questa decisione è stata presa, e soprattutto perché è calata quasi nell'indifferenza della città. Non sono bottiglie, non sono vasetti, sono un pezzo rilevante della storia dell'arte europea, sono qualcosa di cui dovremmo prenderci cura. Anche rispettando i patti.

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