mercoledì 23 maggio 2018

da "Ho sposato un comunista" di Philip Roth

- La politica è la grande generalizzatrice, - mi diceva Leo, - e la letteratura è la grande particolareggiatrice, e non soltanto esse sono tra loro in relazione inversa, ma hanno addirittura un rapporto antagonistico. Per la politica, la letteratura è decadente, molle, irrilevante, fastidiosa, ostinata, noiosa, una cosa che non ha senso e che non dovrebbe neppure esistere. Perché? Perché la letteratura è l’impulso a entrare nei particolari. Come puoi essere un artista e rinunciare alle sfumature? Ma come puoi essere un politico e permettere le sfumature? Come artista, le sfumature sono il tuo dovere. Il tuo dovere è non semplificare. Anche se tu dovessi scegliere di scrivere nel modo più semplice, alla Hemingway, resta il dovere di dare la sfumatura, spiegare la complicazione, suggerire la contraddizione. Non cancellare la contraddizione, non negare la contraddizione, ma vedere dove, all’interno della contraddizione, si colloca lo straziato essere umano. Tener conto del caos, farlo entrare. Devi farlo entrare. Altrimenti produci propaganda, se non per un partito politico, per un movimento politico, stupida propaganda per la vita stessa, per la vita come essa stessa, forse, vorrebbe essere propagandata. 
Nei primi cinque o sei anni della rivoluzione russa i rivoluzionari gridavano: “Amore libero, ci sarà l’amore libero!” Ma, una volta al potere, non potevano permetterlo. Perché l’amore libero cos’è? È il caos. Ed essi non volevano il caos. Non era per questo che avevano fatto la loro gloriosa rivoluzione. Volevano qualcosa di accuratamente disciplinato, organizzato, contenuto, prevedibile scientificamente, se possibile. L’amore libero nuoce all’organizzazione, all’apparato sociale, politico e culturale. Anche l’arte nuoce all’organizzazione. La letteratura nuoce all’organizzazione. Non perché sia apertamente pro o contro, o anche subdolamente pro o contro. Nuoce all’organizzazione perché non è generale. L’intrinseca natura del particolare consiste nella sua particolarità, e l’intrinseca natura della particolarità sta nel non potersi conformare. 
Sofferenza generalizzata? Ecco il comunismo. Sofferenza particolareggiata? Ecco la letteratura. L’antagonismo è in questa polarità. Tenere in vita il particolare in un mondo che semplifica e generalizza: ecco dove comincia la lotta. Non devi scrivere per legittimare il comunismo e non devi scrivere per legittimare il capitalismo. Sei estraneo all’uno e all’altro. Se sei uno scrittore, non ti allei né con l’uno né con l’altro. Sì, vedi le differenze, e naturalmente vedi che questa merda è un po’ meglio di quella merda, o che quella merda è un po’ meglio di questa merda. Molto meglio, forse. Ma la merda tu la vedi. Non sei un funzionario governativo. Non sei un militante. Non sei un credente. Sei uno che affronta il mondo, e ciò che vi accade, in un modo assai diverso. Il militante introduce una fede, una grande idea che cambierà il mondo, mentre l’artista introduce un prodotto per il quale, al mondo, non c’è posto. È un prodotto inutile. L’artista, lo scrittore serio, introduce nel mondo una cosa che non c’era neanche all’inizio. 
Quando Dio, in sette giorni, creò tutta questa roba, gli uccelli, i fiumi, gli esseri umani, non ebbe dieci minuti per la letteratura. “E poi ci sarà la letteratura. A qualcuno piacerà, altri ne saranno ossessionati, vorranno farla…” No. No. Non disse così. Se allora tu avessi chiesto a Dio: “Ci saranno degli idraulici?” “Sì, ci saranno. Poiché avranno delle case, avranno bisogno di idraulici.” “Ci saranno dei medici?” “Sì. Poiché si ammaleranno, avranno bisogno di medici che diano loro delle pillole.” “E la letteratura?” “La letteratura? Che stai dicendo? A che serve? Dove la mettiamo? Per piacere, sto creando un universo, io, mica un’università. Niente letteratura”.

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