giovedì 26 dicembre 2019

Verba volant (740): gelida...

Gelida, agg. f.

In quella gelida mattina d'inverno, i due vecchi, seduti sulle loro panchine nel jardin du Luxembourg, si osservano da qualche minuto. Finalmente quello che dei due sembra più anziano piega meticolosamente il giornale, si alza e lentamente si va a sedere accanto a quello che continua a gettare, in maniera sempre più automatica, semi agli uccelli.
Non possiamo continuare a fingere. Anche se sono passati più di quarant'anni, io ho riconosciuto te, nonostante i tanti capelli bianchi, e tu sai bene chi sono io. So che entrambi speravamo di non rivederci più, ma Parigi è piccola dopotutto. Sapevo che c'era il rischio di incontrarti. Avrei voluto rimanere a Bordeaux, anche dopo la pensione, ma Antoniette vive qui, è la mia unica figlia e ho bisogno di lei. So che tu sei sempre rimasto in città. Ho letto delle tue composizioni; e di qualche tuo successo. La musica è stata più benigna della filosofia. 

Se per più di quarant'anni ci siamo evitati credo sia comprensibile. L'altro risponde, tirando fuori dal sacchetto tutti i semi e gettandoli a terra. Mi sono stupito vedendo una rosa sulla sua tomba. Sinceramente non ti immaginavo così sentimentale. Credevo che Marcel fosse tornato dal Senegal. 

Non so se sia ancora vivo, ma davvero non credo voglia tornare. Immagino che dipingere un nuovo mondo, con le sue piante, i suoi animali, i suoi uomini, sia più interessante che osservare questo paese che sta morendo.

E loro due? Li hai mai più visti?

Vivono vicino a Bordeaux. Ho rivisto solo lei. E' la presidentessa delle dame di carità di non so quale santa e un giorno è venuta nella mia scuola per consegnare i premi ai bambini più meritevoli. Per fortuna nessuno delle mie classi. Anche perché io non gli faccio imparare a memoria le poesie di Lebrun e di Lamartine. E' sempre bellissima. Ma mi è sembrata infelice. E certo molto più cattiva. Comunque lei ha ottenuto quello che voleva. Bisogna dire che lui è stato una preda facile: inaspettatamente ricco, dopo la morte del vecchio zio che l'ha lasciato unico erede, solo, infelice. Per lei è stato facile farsi sposare e diventare così una rispettabile signora di campagna. Credo perfino gli sia stata fedele: era nella parte. Non ci crederai: so che lui è legittimista, a Bordeaux ha raccolto fondi e sostenuto Mac-Mahon. Fine ingloriosa per un rivoluzionario. 

Non abbiamo più vent'anni. Credo che allora neppure tu ti saresti immaginato a insegnare in una scuola di provincia. Teme di averlo offeso. Tacciono entrambi osservando gli uccelli che beccano gli ultimi semi rimasti per terra. Poi all'improvviso, riprende a parlare. Cosa ci è successo? Tu sei sempre stato il più intelligente di noi quattro. Dopo tanti anni dovresti averlo capito.

Non credere a quelli che dicono che invecchiando si diventa più saggi. Spesso succede il contrario. Non so più cose ora di quante ne sapessi allora. Comunque me lo sono chiesto spesso. Forse non eravamo pronti alla morte, eravamo troppo giovani. E troppo stupidi. Certo sapevamo che la gente muore, avevamo anche visto morire persone che conoscevamo, ma con lei è stato tutto diverso. Lei era giovane. La sua morte ci ha travolto. Perché era migliore di noi. Noi volevamo essere poveri, per questo gettavamo i soldi appena li guadagnavamo. Ci piaceva essere poveri, pensavamo di essere migliori dei nostri genitori, di quelli che vedevamo seduti nei ristoranti, di quelli che si potevano permettere di avere donne belle come lei, di quelli che sedevano nelle accademie e scrivevano nei giornali, pensavamo di essere migliori di tutti. Perché eravamo poveri. Tanto sapevamo che uno zio alla fine sarebbe morto. O che mia madre, per quante ne avessi combinate, mi avrebbe sempre fatto dormire in un bel letto. Lei invece era povera davvero, e per questo è morta. L'abbiamo uccisa noi, perché, per amore, lei ha voluto essere come noi: ma noi non eravamo così, fingevamo solo di esserlo. Lo abbiamo capito quando è morta, quando ormai era troppo tardi. Se lui fosse andato dallo zio, se avesse cominciato seriamente a lavorare, lei non sarebbe morta. E noi tre siamo stati suoi complici. Lavorare era troppo borghese, sposarsi era troppo borghese. E adesso? Lui è un signorotto di campagna monarchico, io un ex professore di una scuola cattolica e tu il segretario di quell'accademia che hai sempre denigrato. E forse Marcel fa il mercante di schiavi. A volte spero che almeno lui viva in maniera diversa, in quel paese lontano. Ma non ci credo troppo. E tutti, o almeno noi tre, abbiamo avuto la punizione di vivere a lungo, come contrappasso per la sua morte giovane.

Ho scritto una sonata, dedicata a lei. L'ho intitolata "I fiori di Mimì".

Colline si alza per andarsene. Caro Schaunard, la bohème è finita. 

Nessun commento:

Posta un commento