martedì 31 dicembre 2019

Verba volant (741): divorare...

Divorare, v. tr.

L'eburnea levigatezza delle statue, l'elegante proporzione di quei corpi divini, le storie degli amori e delle passioni attraverso cui Ovidio ci ha raccontato la religione degli antichi, non devono farci dimenticare che quell'epos nasce nel sangue e nella violenza.
Prima di Zeus c'è stato Crono, il dio che evira il padre e che divora i propri figli. Ce lo ricorda, in tutta la sua drammaticità Francisco Goya, che nell'assordante silenzio della propria mente, vede questa antica divinità e la rappresenta in una delle più conosciute Pinturas negras, con cui ha affrescato le spoglie pareti della propria casa sulle rive del Manzanarre, tra il 1819 e il 1823, dipinti che egli ha fatto solo per se stesso, non destinati a essere visti da altri.
C'è stato un tempo quindi in cui le vite degli uomini erano dominate da questo dio dallo sguardo allucinato, le cui mani grondavano sangue? Sì, e paradossalmente gli antichi consideravano quel tempo l'età dell'oro, il tempo in cui, secondo il racconto di Esiodo
gli uomini passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria.
Come se quegli antichi dei ci amassero a tal punto da caricarsi su di loro il peso di ogni angoscia, di ogni fatica. Pur di renderci felici.
Naturalmente noi sappiamo che non è mai esistita una tale età dell'oro. Lo sa benissimo anche Esiodo. E non sono mai esistiti dei così benevoli verso di noi. Gli dei, se esistessero, sarebbero quelli descritti con perfidia da Omero: avidi, gelosi, invidiosi, iracondi, proprio come siamo noi, ma, siccome sono più forti di noi, sfogano su noi mortali i loro istinti peggiori, proprio come noi facciamo con quelli che sono più deboli. E fanno tutto il possibile - e l'impossibile - per rendere infelice la nostra vita.
Ma sappiamo - e lo sa anche Omero - che  non esistono neppure questi dei "cattivi". Goya con le sue Pitture nere vuole dirci proprio questo. Crono siamo noi, che divoriamo i nostri figli, che distruggiamo il pianeta in cui non potranno più vivere, che li sfruttiamo per diventare più ricchi, che usiamo i loro corpi per un piacere effimero. Ogni giorno Crono divora uno dei suoi figli. Succede in ogni parte del mondo, lontano da noi, come in Africa, ma anche vicino a noi, nelle strade che percorriamo tutti i giorni, succede nelle nostre case, perché anche noi siamo colpevoli, anche noi divoriamo quel bambino, quel nostro figlio. Certo i nostri occhi non sono allucinati e le nostre mani non grondano sangue, ma quello è il nostro ritratto: Goya è quasi impazzito quando se ne è reso conto, noi per salvarci, preferiamo far finta di nulla.
I greci, anche se sapevano che Crono era stato sconfitto, che non governava più su di loro, continuavano a onorare questo dio, antico e terribile. Perché sentivano che c'era nella sua storia di parricida e di infanticida qualcosa che continuava a parlare a ciascuno di loro. Per questo i greci erano così saggi, perché sapevano riconoscere il peggio che c'era nei loro dei. E per questo noi siamo così stupidi.
I romani, che non hanno mai smesso mai di essere contadini, identificavano quel dio antichissimo della religione greca con il loro Saturno, che indossava un pesante mantello invernale e portava una falce. Era una divinità agreste - per questo portava quell'attrezzo - il cui culto era legato all'inverno. Se questa immagine di un vecchio con il capo coperto che porta una falce vi ricorda qualcosa è perché siamo prossimi alla notte del 31 dicembre, la notte in cui finisce l'anno, almeno nel nostro calendario solare. E secondo quell'iconografia quel vecchio deve cedere il passo a un bambino, l'anno nuovo, carico di promesse. Perché Crono è anche il nome che i greci hanno dato al tempo. Ma noi, che abbiamo visto - grazie a Goya - quello che davvero siamo, sappiamo che fine farà quel bambino, già domani.

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