lunedì 15 marzo 2010

da "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci (IV)

27 febbraio 1928

Carissima Giulia,
ho ricevuto la tua lettera del 26-XII-1927, con la postilla del 24 gennaio e l’unito bigliettino.
Sono stato proprio felice di ricevere queste tue lettere. Ma ero già diventato piú tranquillo da qualche tempo. Sono molto cambiato, in tutto questo tempo. Ho creduto in certi giorni di essere diventato apatico e inerte. Penso oggi di aver sbagliato nell’analisi di me stesso. Cosí non credo neanche piú di essere stato disorientato. Si trattava di crisi di resistenza al nuovo modo di vivere che implacabilmente si imponeva sotto la pressione di tutto l’ambiente carcerario, con le sue norme,con la sua routine, con le sue privazioni, con le sue necessità, un complesso enorme di piccolissime cose che si succedono meccanicamente per giorni, per mesi, per anni, sempre uguali, sempre con lo stesso ritmo, come i granellini di sabbia di una gigantesca clepsidra. Tutto il mio organismo fisico e psichico si opponeva tenacemente, con ogni sua molecola, all’assorbimento di questo ambiente esteriore, ma ogni tanto bisognava riconoscere che una certa quantità della pressione era riuscita a vincere la resistenza e a modificare una certa zona di me stesso, e allora si verificava una scossa rapida e totale per respingere d’un tratto l’invasore. Oggi, tutto un ciclo di mutamenti si è già svolto,perché sono giunto alla calma decisione di non oppormi a ciò che è necessario e ineluttabile coi mezzi e nei modi di prima, che erano inefficaci e inetti, ma di dominare e controllare, con un certo spirito ironico il processo in corso. D’altronde mi sono persuaso che un perfetto filisteo non lo diventerò mai. In ogni momento sarò capace con una scossa di buttar via la pellaccia mezzo di asino e mezzo di pecora che l’ambiente sviluppa sulla vera propria naturale pelle. Forse una cosa non otterrò mai piú: di ridare alla mia pelle naturale e fisica il colore affumicato. Valia non mi potrà piú chiamare il compagno affumicato. Temo che Delio, nonostante il tuo contributo, sarà ormai piú affumicato di me! (Protesti?) Sono rimasto, questo inverno, quasi tre mesi senza vedere il sole, altro che in qualche lontano riflesso. La cella riceve una luce che sta di mezzo tra la luce di una cantina e la luce di un acquario. D’altronde, non devi pensare che la vita mia trascorra cosí monotona e uguale come a prima vista potrebbe sembrare. Una volta presa l’abitudine alla vita dell’acquario e adattato il sensorio a cogliere le impressioni smorzate e crepuscolari che vi fluiscono (sempre ponendosi da una posizione un po’ ironica), tutto un mondo incomincia a brulicare intorno, con una sua particolare vivacità, con sue leggi peculiari, con un suo corso essenziale. Avviene come quando si getta uno sguardo su un vecchio tronco mezzo disfatto dal tempo e dalle intemperie e poi piano piano si ferma sempre piú fissamente l’attenzione. Prima si vede solo qualche fungosità umidiccia, con qualche lumacone, stillante bava, che striscia lentamente. Poi si vede, un po’ alla volta tutto un insieme di colonie di piccoli insetti che si muovono e si affaticano, facendo e rifacendo gli stessi sforzi, lo stesso cammino. Se si conserva la propria posizione estrinseca, se non si diventa un lumacone o una formichina, tutto ciò finisce per interessare e far trascorrere il tempo.
Ogni particolare che riesco a cogliere della tua vita e della vita dei bambini mi offre la possibilità di cercare di elaborare qualche rappresentazione piú vasta. Ma questi elementi sono troppo scarsi e la mia esperienza è stata troppo scarsa. Ancora: i bambini devono mutare troppo rapidamente in questa loro età perché io riesca a seguirli in tutti i movimenti e a darmene una rappresentazione. Certo, in questo devo essere assai disorientato. Ma è inevitabile che sia cosí.
Ti abbraccio teneramente.

Antonio

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