Definire il luogo e il giorno esatti non è necessario per raccontare questa storia; e non serve neppure sapere perché quel giorno io stavo passando proprio per quella strada. Se dovessi iniziare un vero racconto, di quelli con uno o due protagonisti, un bell'intreccio e magari un finale sorprendente, tutti questi elementi quasi sicuramente dovrei affrontarli fin dall'inizio, magari senza dare indicazioni troppo precise - come fanno a volte certi autori. Ma questo forse non è nemmeno un racconto e quindi posso anche cominciare così.
Era mattina, in una di quelle giornate di fine inverno o inizio primavera in cui si può camminare lentamente, guardandosi attorno - sempre se uno non ha un posto verso cui affrettarsi; quando è troppo freddo si desidera il tepore di un luogo chiuso e quando è troppo caldo si cerca l'ombra o un refolo d'aria, quel giorno invece si poteva camminare, non minacciava di piovere, per cui non era neppure necessario l'ombrello, che, anche quando è chiuso, è sempre d'impiccio.
Mi trovavo in una piccola strada residenziale: due file di palazzine decorose, ordinate, di due al massimo tre piani, con i loro piccoli giardini condominiali, ben curati; due stretti marciapiedi, le automobili parcheggiate su entrambi i lati; una strada a senso unico, da dove difficilmente si deve passare per andare da qualche altra parte.
Percorro lentamente il marciapiede, vedo le case, i giardini, le auto e non guardo nulla. A un certo punto mi accorgo di un uomo, forse il primo che vedo in quella strada o forse soltanto il primo che ho notato: sta in piedi sul balcone, al secondo piano di una palazzina a tre piani sul lato opposto a quello in cui io cammino. Ha sessant'anni o qualcosa di più, un paio di pantaloni marroni, un maglione anch'esso marrone, solo un po' più scuro, porta gli occhiali. Non so perché l'ho notato: immagino controlli il poco frequente passaggio davanti al suo balcone e invece non mi nota, il suo sguardo è concentrato unicamente sul marciapiede che sta dal lato della sua palazzina.
Proseguo, faccio alcuni metri e l'uomo esce dal mio sguardo e intanto sull'altro lato mi viene incontro, anche lui lentamente, un altro uomo, più anziano, con una piccola borsa della spesa. Quando siamo alla stessa altezza, pur su due marciapiedi diversi, lui mi osserva. Lo capisco, sono una faccia nuova. Immagino i suoi pensieri: "non può essere un rappresentante, non ha né una valigetta né un campionario, non è un medico che fa visite a domicilio, non ci sono stati traslochi negli ultimi sei mesi in tutta la via e quindi non è un nuovo condomino, chissà... forse è un ladro mandato in un giro di ricognizione".
Sto pensando a cosa sta pensando quell'uomo: anch'io penserei che sono un ladro. In quel momento sento per la prima volta il "ciao" dell'uomo sul balcone. Un "ciao" automatico, che non si aspetta di essere ricambiato, e infatti l'altro uomo procede per la sua strada, incurante di quel saluto sentito evidentemente tantissime volte. Un "ciao" triste, sommesso.
Mi giro e mi fermo, fingendo interesse per una siepe un po' più curata delle altre. Passa ora una donna, anziana anche lei, portandosi e facendosi portare da uno di quei carrellini a due ruote per la spesa, anche lei è sull'altro marciapiede, come l'uomo di prima, ma viene verso di me - si deve essere incontrata con l'altro uomo qualche civico più in là, se questi non è entrato in uno dei vari cancelli; quando passa sotto il balcone, arriva il "ciao", lei alza lo sguardo, ma non ricambia il saluto.
Ricomincio a camminare e arrivo fino in fondo alla strada, dove questa si interseca con un'altra in tutto simile, indistinguibile dalla prima, se non per uno che ci abiti o forse neppure da questi e durante questi pochi metri sento arrivare, leggermente attutiti, ma comunque distinguibili altri tre "ciao". Non sento mai risposte. Allora decido di rifare la strada in direzione contraria a prima, ma sempre tenendo il "mio" marciapede. Sembrava una strada deserta e probabilmente se un'ora dopo mi avessero chiesto quante persone avevo incontrato in quel mio silenzioso camminare, avrei risposto nessuna, avrei detto: in quella via non ho visto proprio nessuno, anche se mi avesse interrogato la polizia, come si vede in qualche telefilm. Invece quei "ciao" tristi mi servono a tenere il conto delle persone che sono passate lungo il marciapede, che sono entrate o uscite da quella palazzina o da una vicina, che sono arrivate, hanno parcheggiato e sono scese sempre su quel marciapiede. Adesso sì, saprei dire, se interrogato dalla polizia - con una precisione di cui io stesso mi stupirei - quante persone sono passate in quel quarto d'ora nel marciapiede di quel lato della strada. Se mi chiedessero quante persone ho visto sul marciapiede dove io ho camminato, non sarei altrettanto sicuro, probabilmente esiterei e sarei subito scartato come testimone. Evidentemente qualcuno deve essere passato anche accanto a me, è improbabile che tutti gli abitanti di quella via abbiano deciso proprio in questo giorno di usare quell'unico marciapiede.
Quelle persone, nel loro camminare anonimo, sono esistite per me soltanto grazie al "ciao" dell'uomo del balcone. O forse esistono affinché l'uomo del balcone possa dire i suoi "ciao". Oppure ancora esistono soltanto nel momento in cui l'uomo del balcone li saluta e poi misteriosamente spariscono.
Il mondo dell'uomo del balcone non arriva all'altro marciapede, a quello dove io sto camminando, e infatti quando passo lì vicino, proprio in linea con il balcone, nonostante quasi mi fermi e mi metta a osservarlo, non mi saluta, non scatta il "ciao" che invece accompagna le persone che passano dall'altra parte. In qualche modo ho cercato il suo "ciao", ma non è arrivato, perché sto dalla parte sbagliata del mondo. Ho la tentazione di attraversare la strada, di passare nel mondo dell'altro marciapiede; controllo se arriva un auto, mi ci vorrebbe meno di un minuto, ma esito, ho paura.
Mi sto convincendo di una cosa: i "ciao" dell'uomo non sono indirizzati alle persone che si trovano a passare sotto il suo balcone; per uno strano disegno o per una fortuita combinazione, quando l'uomo del balcone pronuncia uno dei suoi sommessi e automatici "ciao", lì sotto passa un'altra persona, e i due fatti non sono per nulla collegati. Forse se domani mi trovassi ancora qui, alla stessa ora, sentirei ripetere dall'uomo i suoi "ciao", negli stessi momenti e con gli stessi identici intervalli tra l'uno e l'altro, indipendentemente dal fatto che qualcuno stia passando lì sotto; potrei scoprire che l'uomo del balcone ogni giorno ripete i suoi "ciao", sempre negli stessi momenti, con la regolarità di un orologio. Oppure domani potrei assistere alla stessa scena: passa l'uomo con la borsa della spesa, "ciao", passa la donna con il carrellino, "ciao", forse in questa strada c'è una casualità regolare, quotidiana, o forse c'è un ordine più complicato, che si ripete ad esempio ogni diciassette giorni.
Mi basterebbe attraversare la strada per scoprire se quel saluto è legato all'improvviso apparire di una persona sul marciapiede o è un pensiero di quell'uomo assolutamente indipendente da qualunque cosa succeda fuori da quel balcone e dal suo cervello. Ma se attraversassi la strada e l'uomo mi salutasse non saprei ancora come stanno le cose: mi ha visto davvero e ha deciso di indirizzarmi il suo "ciao" oppure faccio parte anch'io di quell'ordine misterioso per cui i "ciao" dell'uomo e i passanti stranamente si sovrappongono?
Preferisco non tentare. E mi allontano.
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bella, ma molto molto bella.
RispondiEliminaQuell'uomo, come molti di noi, riconosce e sommessamente saluta la solitudine... Senza attendersi una risposta. Rassegnato.
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