Lo lascio libro aperto: sarà forse il primo "libro aperto" nella storia letteraria, vale a dire che l'autore, desiderando che fosse migliore o almeno buono, e convinto che per la sua struttura sconquassata è una temeraria goffaggine nei confronti del lettore, ma anche che è ricco di suggestioni, lascia autorizzato ogni scrittore futuro di slancio e di circostanze che favoriscano un intenso lavoro, a correggerlo e a pubblicarlo liberamente, con o senza menzione della mia opera e nome. Non sarà poco il lavoro. Sopprima, emendi, cambi, ma, magari, che resti qualcosa.
In questa occasione insisto che la vera esecuzione della mia teoria romanzistica potrebbe compiersi solo scrivendo il romanzo di diverse persone che si uniscono per leggerne un altro di modo che essi, lettori-personaggi, lettori dell'altro romanzo personaggi di questo, si profilino incessantemente come persone esistenti, non "personaggi", per contraccolpo con le figure e immagini del romanzo da loro stessi letto.
Tale intreccio di personaggi letti e leggenti con personaggi solo letti, sviluppato sistematicamente, realizzerebbe un'uniforme costante esigenza della dottrina. Intreccio di doppio romanzo.
Lo dico per confessare che il mio libro è molto lontano dalla formula dell'arte di personaggi per mezzo della parola. Anche questa, dunque, resta come "impresa aperta".
Lascio così date la teoria perfetta del romanzo, un'imperfetto esempio di esecuzione di essa, e un perfetto piano della sua esecuzione.
Si noti che c'è una vera possibilità nell'addossarsi della duplice trama, per cui otterrei mediante un'alchimia coscienziale un'assunzione di vita per il personaggio-lettore, con accentuazione del nulla esistenziale del personaggio-letto, che è molto più personaggio proprio per questo, che accentua il suo franco non essere con un'enfasi di inesistenza che lo purifica e esalta lungi da ogni promiscuità col reale; e nello stesso tempo ripercuote l'assunzione di esistenza del personaggio leggente nel lettore reale, che per controfigura del personaggio svanisce di esistenza lui stesso. Questo confusionismo deliberato è probabilmente di una fecondità coscienziale liberatrice; lavoro di genuina artisticità; artificiosità feconda per la coscienza del suo effetto di fragilizzare la nozione e certezza di essere, da cui procede l'universale intimidazione dell'ugualmente assurda e vacua nonzione verbale del non-essere. Non c'è altro che un-essere: quello del personaggio, quello della fantasia, quello dell'immaginato. L'immaginatore non conoscerà mail il non essere.
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