Tra le pur scarse notizie di ieri - quest'anno ai giornalisti manca terribilmente il consueto "giallo dell'estate" - non è riuscita a emergere la denuncia dello psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Raspadori su quanto avvenuto nelle scorse settimane al tribunale dei minori di Trento.
Questa, in breve, la storia. Una giovane donna, che può contare unicamente sul suo reddito di 500 euro al mese, rimasta incinta, ha deciso di portare comunque avanti la gravidanza, chiedendo un affido condiviso per il bambino che in questa prima fase non sarebbe stata in grado di mantenere. Il tribunale, nonostante la ragazza non abbia problemi di tossicodipendenza né siano emersi altri elementi per giustificare un provvedimento del genere, senza convocarla e senza parlare con lei, ha deciso di avviare un procedimento di adozione, togliendole il bambino alla nascita, con una tempestività inconsueta per i tribunali italiani. Solo dopo un mese la giovane ha potuto incontrare il magistrato - qui si ricominciano a riconoscere i tempi "normali" della giustizia italiana - che ha deciso di avviare una perizia per verificare le sue capacità genitoriali. Rivedrà probabilmente il proprio figlio tra otto mesi: questi mesi, fondamentali per la crescita di un bambino, sono stati rubati a lei e a suo figlio, con un atto di incredibile violenza. I diritti della madre e del bambino sono stati calpestati e naturalmente per quel giudice non ci sarà nessuna conseguenza.
Temo però che la responsabilità di questa vicenda non sia soltanto di un giudice incompetente e forse frettoloso, ma di una società che tollera con sempre più fastidio i poveri. In fondo l'unica "colpa" della madre di Trento è appunto quella di essere povera. I poveri ci sono - e purtroppo aumentano in questi tempi di crisi - eppure di loro non si parla mai. A volte può capitare di parlare dei poverissimi, dei senzatetto, dei barboni - magari per lamentare che la loro presenza è un elemento di degrado delle nostre città - ma praticamente nessuno si occupa mai di quelle persone che non sanno come andare avanti, che dipendono dalle buone azioni delle parrocchie e delle associazioni di volontariato. E ancora meno ci si occupa di quelli che scivolano verso la povertà, di quelli che, per una gran numero di motivi, vedono perdere le certezze delle loro vite.
Non so cosa abbia fatto scattare la decisione di quel giudice, ma probabilmente in tanti avrebbero tratto la conseguenza che una madre povera non può essere una buona madre. Naturalmente non è così, la capacità di una madre - e anche di un padre, ovviamente - si misura con altri metri: certo è importante che abbia le risorse per nutrire suo figlio, ma occorre soprattutto che lo desideri e lo ami. La madre di Trento ha tanto desiderato suo figlio da non prendere una decisione che nessuno le avrebbe rinfacciato, in quelle condizioni. Se non quei soloni che poi, dall'alto delle loro responsabilità, non fanno nulla per attivare veri servizi alle donne e alle famiglie. La madre di Trento ha chiesto aiuto, ma non le è stato risposto, la sua voce non è neppure arrivata. In fondo i poveri non esistono.
La povertà non è una malattia incurabile, da tempo abbiamo scoperto la cura.
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