Dopo la rigenerante vacanza salentina, durante la quale sono rimasto "senza rete" e quindi nell'impossibilità di aggiornare questo blog, ricomincio a scrivere "in diretta" (l'altra sera ho pubblicato alcune "considerazioni" che, per non perdere il vizio, ho scritto nei giorni di vacanza, quando una qualche notizia mi "costringeva" al commento).
Scrivo comunque di una cosa accaduta nei giorni scorsi: la morte del ex presidente della repubblica Francesco Cossiga e il successivo unanime cordoglio espresso da politici, giornalisti e opinionisti vari. La morte di qualsiasi persona ci deve indurre rispetto ed è naturale che in una tale circostanza i ricordi siano volti a mettere in evidenza più le cose positive che quelle negative, ma credo anche che quando muoia una persona che ha avuto un ruolo nella vita politica, culturale e sociale di un paese non ci si possa esimire da un giudizio su quello che quella persona ha fatto e ha rappresentato, nel bene e nel male.
Cossiga ha avuto responsabilità di rilievo in due momenti particolari della vita politica italiana: era ministro dell'interno quando le Brigate rosse hanno rapito e ucciso Aldo Moro, era presidente del consiglio quando i terroristi neofascisti hanno compiuto la strage alla stazione di Bologna. In entrambe le situazioni la sua azione è stata piena di ombre e se l'Italia è riuscita a uscire da quella tragica stagione non è merito di uomini come Cossiga. Da ministro prima e da presidente del consiglio poi non ha potuto o non ha voluto fare piena chiarezza sugli avvenimenti di cui era testimone. Passata quella stagione e in particolare dopo il suo mandato al Quirinale, Cossiga è tornato spesso a parlare di quegli anni, continuando purtroppo ad alimentare sospetti e divisioni.
Sul rapimento e sull'uccisione di Moro, Cossiga ha ribadito testardamente che quell'azione terroristica fu compiuta e gestita in piena autonomia dalle Brigate rosse e non ha mai detto nulla del ruolo che giocarono quei vertici politici e militari che rispondevano ad altri poteri, attraverso la loggia P2; se non si rese conto che i più alti gradi delle forze armate, delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, che pure lui coordinava, prendevano ordini da altri o era un incapace o era in qualche modo coinvolto in un disegno che ormai, a livello storico - purtroppo non giudiziario - è, se non chiarito, almeno delineato. In quegli anni ci fu il tentativo, peraltro riuscito, di condizionare l'evoluzione del sistema politico, per evitare eccessive aperture verso la sinistra, e fu usato ogni mezzo, lecito e illecito, per raggiungere tale obiettivo.
Sulla strage di Bologna, Cossiga ha continuato a compiere, fino a pochi mesi dalla morte, un'opera di vero e proprio depistaggio, accreditando - forte della sua presunta conoscenza di chissà quali segreti - la tesi che la strage di Bologna sia stata un incidente, provocata dallo scoppio accidentale di un ordigno trasportato in treno da un terrorista palestinese, che aveva scelto le ferrovie italiane per portare una bomba, già innescata, nel nord Europa. Cossiga finge di ignorare le sentenze, passate in giudicato, che condannano da un lato i terroristi neofascisti di aver materialmente portato la bomba, quel giorno e a quell'ora, per uccidere il massimo numero di persone e dall'altro lato alcuni uomini dei servizi segreti, ancora coinvolti nella P2, di aver ripetutamente depistato le indagini, facendo trovare false bombe, inventando testimoni e così via. Ancora non sappiamo i motivi che spinsero qualcuno ad armare in questo modo i neofascisti, probabilmente neppure Cossiga lo sapeva, ma allora avrebbe fatto meglio a tacere, per rispetto di chi in quella strage ha perso la vita.
Il cordoglio per una persona non può velo alla verità. Una democrazia non se lo può permettere.
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