Sarkozy, in una fase particolarmente opaca del suo mandato presidenziale - che peraltro rischia di essere ricordato più per la bellezza e l'esuberanza di Carlà che per le riforme promesse e non realizzate dal marito - ha deciso di far aumentare il proprio indice di popolarità, organizzando la "deportazione volontaria" di alcune decine di rom verso la Romania.
Il presidente francese era certo consapevole che questa operazione avrebbe trovato nel suo paese l'ostilità di gran parte degli intellettuali e di una parte della chiesa, aveva messo nel conto anche il giudizio negativo dei suoi colleghi europei, che, in maniera assolutamente ipocrita, hanno criticato un provvedimento che sarebbero stati pronti ad assumere per assicurarsi un aumento dei consensi. Non c'è dubbio infatti che Sarkozy abbia fatto una cosa estremamente popolare - inefficace dal punto di vista pratico, visti i numeri delle persone coinvolte - ma capace di raccogliere consensi in ampi strati dell'opinione pubblica, non solo di centrodestra; e non solo francese. Il fatto che questa operazione di rimpatri, più o meno forzati, abbia coinvolto poche persone non la rende meno grave né meno suscettibile di condanna, ma non è questo quello che al momento mi interessa.
Dall'altra parte dell'Atlantico, Obama ha sfidato la grande maggioranza dell'opinione pubblica statunitense, dichiarando in maniera pubblica e solenne di approvare la decisione del sindaco di New York di autorizzare la costruzione di una moschea vicino a Ground zero. Il presidente degli Stati Uniti si è appellato a quanto sancito dalla costituzione americana, ma questo non è stato sufficiente a superare le critiche, che hanno di fatto affossato quel progetto. Di questo ho già parlato in una mia precedente "considerazione" (la nr. 152, per la precisione) e non è necessario che torni sull'argomento.
Ora, al di là del merito delle due questioni, queste vicende toccano un nodo vitale per le nostre democrazie: cosa succede quando la maggioranza dei cittadini ha un'opinione che è in contrasto con quelle norme generali che stanno alla base delle nostre stesse democrazie? Ossia, per dirla in maniera più brutale, cosa succede quando la maggioranza prende una decisione sbagliata e ingiusta?
Un caso eclatante è quello della pena di morte. Negli ordinamenti giuridici dei paesi europei la pena capitale è bandita, in nome del principio secondo cui uno stato non ha diritto di uccidere un uomo; fortunatamente questa decisione è già stata assunta nelle leggi dei nostri paesi - in Italia addirittura dal 1889 - sappiamo infatti che c'è una parte dell'opinione pubblica, forse maggioritaria, che riterrebbe la pena di morte un utile strumento per combattere la criminalità e se, ad esempio ora in Italia, si conducesse un referendum per chiederne l'introduzione, non sono certo quale sarebbe l'esito. Il problema è che in democrazia, per definizione, la maggioranza ha ragione, non sbaglia.
A cercare di temperare quello che vorrebbe la maggioranza ci sono, in ogni democrazia, due fattori altrettanto importanti: da un lato una minoranza, più o meno compatta, più o meno forte, più o meno minoritaria, che ricorda costantemente che esistono diritti che non possono essere cancellati, neppure dalla maggioranza, e dall'altro lato un sistema giudiziario, che, non essendo eletto, non deve cercare il consenso dell'opinione pubblica e che ha il compito di difendere quei diritti che si vorrebbero limitare o abolire.
Proprio perché esistono queste dinamiche, è necessario che di fronte alla decisione di Sarkozy, benché - lo ripeto - poco efficace dal punto di vista pratico, si continui a tenere alto il livello di attenzione e non si ceda alla tentazione di considerarla unicamente un fatto propagandistico. Oppure qui in Italia è necessario continuare a protestare contro la legge ingiusta, sostenuta da un'ampia maggioranza di consensi, che prevede i respingimenti degli stranieri clandestini verso la Libia, ossia un paese dove c'è una dittatura, senza tutelare coloro che possono richiedere asilo. Per questo motivo è necessario che qualcuno alzi la voce ogni volta che è calpestato un diritto.
E per questo è necessario che continuino a operare autorità giuridiche, indipendenti e autorevoli, e soprattutto è necessario che non venga minata questa loro autorevolezza, come invece si fa regolarmente in Italia a riguardo della Corte costituzionale o delle Corti europee, specialmente quando emettono sentenze non favorevoli alla maggioranza.
Ed è necessario infine che sui diritti il dialogo tra maggioranza e minoranza non si spezzi, che la minoranza non consideri la maggioranza irrecuperabile e nemica della democrazia e dei diritti e che la maggioranza non consideri la minoranza un fastidio da eliminare.
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