giovedì 9 settembre 2010
"Stato d'assedio" di Mahmoud Darwish
Qui, sui pendii delle colline, dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo
vicino ai giardini dalle ombre spezzate,
facciamo come fanno i prigionieri,
facciamo come fanno i disoccupati:
coltiviamo la speranza.
Un paese che si prepara all’alba. Diventiamo meno intelligenti
perché spiamo l’ora della vittoria:
non c’è notte nella nostra notte illuminata
da una pioggia di bombe.
I nostri nemici vegliano,
i nostri nemici accendono per noi la luce
nell’oscurità dei sotterranei.
Qui, nessun “io”.
Qui, Adamo si ricorda che la sua argilla
è fatto di polvere.
In punto di morte, dice:
non posso più smarrire il sentiero:
libero sono a un passo dalla mia libertà.
Il mio futuro è nella mia mano.
Ben presto penetrerò nella mia vita,
nascerò libero, senza madre né padre,
e mi sceglierò un nome di lettere d’azzurro…
Qui, fra spirali di fumo, sui gradini di casa,
non c’è tempo per il tempo.
come chi s’innalza verso Dio,
dimentichiamo il dolore.
Nulla qui riecheggia Omero.
I miti bussano alla nostra porta, se vogliono.
Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale
scava alla ricerca di uno stato addormentato
sotto le rovine di una Troia che verrà.
Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate,
bevete con noi il caffè arabo.
Sentirete che siete uomini come noi.
Voi, ritti in piedi sulla soglia delle case,
uscite dalla nostra alba.
Ci sentiremo sicuri di essere
uomini come voi!
Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le colombe
bianchissime, lavano la gota del cielo
con ali libere, riprendono il bagliore e il possesso
dell’etere e del gioco. In alto, ancora più in alto volano via
le colombe bianchissime. Ah, se il cielo
fosse vero… (mi ha detto un uomo correndo fra due bombe).
I cipressi, dietro i soldati, minareti che s’innalzano
per non far crollare il cielo. Dietro la siepe di ferro
pisciano i soldati – al riparo di un tank –
e la giornata autunnale conclude la sua traiettoria dorata
in una strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale…
(A un assassino) Se avessi contemplato il volto della vittima
e riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera
a gas, avresti buttato via le ragioni del fucile
e avresti cambiato idea: non è così che si ritrova un’identità.
L’assedio è attesa,
attesa su una scala inclinata
dove più infuria l’uragano.
Soli, siamo soli a bere l’amaro calice,
se non fosse per le visite dell’arcobaleno.
Abbiamo dei fratelli dietro quella spianata,
fratelli buoni, che ci amano. Ci guardano e piangono.
Poi si dicono in segreto:
“Ah! Se quest’assedio venisse dichiarato…”
Lasciano la frase incompiuta:
“Non lasciateci soli, non abbandonateci”.
Le nostre perdite: da due a otto martiri, giorno dopo giorno.
E dieci feriti.
E venti case.
E cinquanta ulivi…
Aggiungeteci la perdita intrinseca
che sarà il poema, l’opera teatrale, la tela incompiuta.
Una donna ha detto alla nube: copri il mio amato
perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non sei pioggia, amor mio
sii albero
colmo di fertilità, sii albero
se non sei albero, amor mio
sii pietra
satura d’umidità, sii pietra
se non sei pietra, amor mio
sii luna
nel sogno dell’amata, sii luna
(così una donna che dava sepoltura al figlio)
O ronde della notte! Non siete stanche
di spiare la luce nel nostro sale
e l’incandescenza della rosa nella nostra ferita,
non siete stanche, ronde della notte?
Un lembo di questo infinito assoluto azzurro
basterebbe
ad alleviare il fardello di questo tempo
e a spazzare via la melma di questo luogo.
Che l’anima scenda dalla sua cavalcatura
e cammini con passi di seta
al mio fianco, mano nella mano, come due amici
di vecchia data che condividono il pane secco
e un bicchiere di vino della vecchia vigna,
Per poter attraversare insieme questa strada.
Poi i nostri giorni seguiranno sentieri diversi:
io al di là della natura, e lei,
lei preferirà inerpicarsi su un’altra vetta.
Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli
che fanno il nido negli anfratti delle statue,
o nella cappa del camino, o nelle tende
dove riposava il principe andando a caccia.
Sulle mie macerie spunta verde l’ombra,
e il lupo sonnecchia sulla pelle della mia capra.
Sogna come me, come l’angelo,
che la vita sia qui… non laggiù.
Quando si è assediati, il tempo diventa spazio
pietrificato nella sua eternità
quando si è assediati, lo spazio diventa tempo
che ha fallito il suo ieri e il suo domani.
Questo martire mi assedia ogni volta che vedo spuntare un nuovo giorno
e mi chiede: Dov’eri? Annota sui dizionari
tutte le parole che mi hai offerto
e libera i dormienti dal ronzio dell’eco.
Il martire mi spiega: Non ho cercato al di là della spianata
le vergini dell’immortalità, perché amo la vita
sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico,
ma era inaccessibile, così ho preso la mira
con l’ultima cosa che mi appartiene: il sangue
nel corpo dell’azzurro.
Il martire mi avverte: Non credere alle loro storie
credi a me, padre, quando osservi la mia foto e chiedi piangendo:
Come hai potuto scambiare le nostre vite, figlio mio,
perché mi hai preceduto? C’ero io, c’ero prima io!
Il martire non mi da tregua: mi sono solo spostato
con i miei mobili consunti.
Ho posato una gazzella sul mio letto,
e una falce di luna sul mio dito,
per alleviare la mia pena.
L’assedio continuerà, per convincerci a scegliere
una schiavitù che non fa male,
in piena libertà!
Resistere significa: accertarsi della forza
del cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace:
il male della speranza.
In quel che resta dell’alba, cammino verso il mio involucro esterno
in quel che resta della notte, ascolto il rumore dei passi rimbombare al mio interno
saluto chi come me insegue
l’ebbrezza della luce, lo splendore della farfalla,
nell’oscurità di questo tunnel.
Saluto chi beve con me dal mio bicchiere
nelle tenebre di una notte che entrambi ci avvolge:
saluto il mio spettro.
Per me i miei amici preparano sempre una festa
da Dio, una sepoltura serena all’ombra delle querce
un epitaffio inciso nel marmo del tempo
e sempre ai funerali li precedo correndo:
chi è morto… chi?
La scrittura, un cucciolo che morde il nulla
la scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue.
Le nostre tazze di caffè. Gli uccelli, gli alberi verdi
nell’ombra azzurrina, il sole che scivola di muro
in muro con balzi di gazzella
l’acqua delle nubi dalla forma illimitata – tutto quel che ci resta.
Il cielo. E altre cose dai ricordi sospesi
rivelano che questo mattino è potente splendore,
e che noi siamo i convitati dell’eternità.
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