sabato 4 dicembre 2010

Considerazioni libere (185): a proposito di crisi, di valori e di responsabilità...

Il Rapporto sulla situazione sociale del Paese curato dal Censis, che è arrivato alla sua 44° edizione, è una lettura sempre molto interessante, che offre diversi spunti di riflessione. Ci sono molti elementi da approfondire, ma per ora vorrei scrivere qualche nota sulle "considerazioni generali", che vi invito a leggere con attenzione.
In Italia siamo abituati a dare sempre la colpa a qualcun altro. Il Rapporto del Censis ci spiega con una certa efficacia che si tratta di un alibi. Molti, a destra come a sinistra, pensano che se la situazione va così male sia colpa della nostra classe politica, fondamentalmente incapace e disonesta; tanti militanti del centrosinistra sono convinti che quando non ci sarà più Berlusconi tutto migliorerà. Certamente la nostra classe politica è mediamente inferiore al livello della cosiddetta società civile, ma questa non si segnala né per le proprie capacità né soprattutto per i propri valori etici. Allo stesso modo - come ho già avuto occasione di dire - Berlusconi porta gravissime responsabilità della decadenza italiana, ma è illusorio pensare che la sua fine politica, che speriamo comunque arrivi il prima possibile, possa di colpo risolvere i tanti problemi che affliggono questo paese.
Nel Rapporto si dice chiaramente che probabilmente
anche se ripartisse a breve la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe spessore e vigore adeguati alle sfide complesse che dovremo affrontare.

Non è quindi il problema soltanto della politica, ma di una società che non trova gli stimoli per reagire. Sono oltre due milioni i giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro: è una fascia di apatici, che non riesce a immaginare il proprio futuro.
E' evidente a questo punto che il problema non è solo politico, ma è etico.
È frequente il riscontro di comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi o arrangiatorii, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. Con una rassegnazione implicita e diffusa non solo alla grande violenza della criminalità organizzata (“non c’è niente da fare”), ma anche alla insensatezza di molte insensatezze quotidiane (“siamo tutti un po’ matti”).

Il punto interessante è questo che segue, che mette in evidenza come la responsabilità di questa condizione sia complessiva.
Cresce l’indistinto. Lo si avverte nella dialettica politica, sempre meno chiara e bipolare; nella comunicazione giornalistica, fatta da paginate eguali e parallele, salvo mirate spregiudicate operazioni di servizio; nella comunicazione televisiva, coatta all’eccesso di stimolazioni ed eventi destinati a non permanere nella psiche collettiva; nelle nuove forme di tecnologia comunicazionale, in cui è ormai difficile distinguere messaggi e soggetti e le relative responsabilità; nel panorama delle responsabilità istituzionali, troppo frazionate e contraddittorie; nel mercato del lavoro, segnato da una nebbiosa
sovrapposizione di disoccupati, precari, lavoratori sommersi, ecc.; nella stessa composizione etnica, visto lo scarso peso dei processi di integrazione; per non parlare di quanto avviene ai confini ambigui e traspiranti fra economia legale ed economia criminale.

A me sembra che queste parole descrivano in maniera efficace tutto quello che ci circonda, l'insensatezza di certi comportamenti privati che finiscono per diventare comportamenti pubblici.
Le cronache minute della vita italiana ci rinviano infatti tanti comportamenti
puramente pulsionali, senza telos, incardinati in un egoismo autoreferenziale e narcisistico. Non si tratta solo di comportamenti di limite a livello dei singoli
soggetti (il consumo tossicomaniaco di sostanze, l’ipnosi narcisistica
dell’anoressia, il ritiro libidico del depresso) o dello stesso utilizzo del delitto
per guadagnare potere all’interno della grande criminalità. Si tratta di fenomeni più diffusi e forse invasivi. Basta guardarsi intorno per constatare la
sregolazione pulsionale esistente negli episodi di violenza familiare; nel
bullismo gratuito e talvolta occasionale in strade e locali pubblici; nel gusto più apatico che crudele di compiere delitti comuni; nella tendenza ad altrettanto apatici e facilitati godimenti sessuali; nella ricerca di un eccesso di
stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore del soggetto; nel ricambio febbrile degli oggetti da acquisire e godere; nella ricerca spesso demenziale di esperienze che sfidano la morte (dal cosiddetto balconing allo sfrangersi su un muro ad alta velocità).
E' una società in cui apparentemente si può possedere di tutto, ogni bene, ogni donna, in cui non ci sono limiti di tempo tra il giorno e la notte, in cui si può godere di ogni emozione, ma in cui effettivamente ogni esperienza rischia di lasciarci ogni momento più vuoti.
Questa crisi ci riguarda tutti, ci coinvolge tutti, non è il problema di un altro, è il nostro problema; e le responsabilità non sono altre, ma sono nostre.

1 commento:

  1. Profonde e veritiere considerazioni, sono d'accordo con te. Lo sforzo x migliorare questo stato d'abbrutimento generale è per forza di cose una faccenda personale, di scelte, di comportamenti, ma credo nel valore e nelle possibilità che può dare lo scambio delle idee, il credere nei progetti comuni, nella collaborazione, nella volontà di diffondere l'arte e la cultura o il proprio pensiero nonostante le difficoltà.....bisognerebbe sfruttare i vantaggi della modernità e lavorare ad una vera integrazione che dia a tutti più possibilità per onesti progetti che abbiano un cuore.....

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