La premessa è d'obbligo e più di ogni altra volta giustificata e necessaria: non sono un esperto né di economia né di politiche industriali e quindi questa "considerazione" rischia di essere banale e poco interessante, ma c'è una domanda che mi ronza in testa da alcuni giorni e voglio parlarne con voi. La domanda è questa: perché dobbiamo essere preoccupati del fatto che la francese Lactalis sta per acquistare l'italiana Parmalat?
La questione non è oziosa, visto che, nonostante la guerra in Libia, il tema rimane di attualità da qualche giorno. I più autorevoli commentatori economici hanno deprecato la debolezza degli imprenditori italiani, che non sono stati abbastanza energici e reattivi da impedire lo shopping francese. I politici, come sempre, sono andati a ruota, hanno cavalcato la notizia e hanno alzato i toni, un po' ancora infervorati dalle parole patriottarde del 17 marzo e soprattutto risentiti per il protagonismo di Sarkozy in Libia. Addirittura il ministro Tremonti ha presentato una legge che, chiuse ormai le stalle dopo l'emigrazione delle mucche - forzo un po' il proverbio, visto il merito della questione - dovrebbe impedire in futuro una cosa del genere, individuando alcuni settori, tra cui l'industria alimentare, in cui è più difficile intervenire per i capitali stranieri.
Mi pare che il mondo giri alla rovescia. Chi scrive gli articoli contro i francesi sono gli stessi autorevoli commentatori che negli ultimi vent'anni ci hanno spiegato, fino allo sfinimento, che il mercato è la soluzione di ogni problema, tanto più in Italia, dal momento che il nostro paese ha sofferto quasi cinquant'anni di regime comunista. Lo hanno ripetuto con una tale ossessione e una tale enfasi che hanno finito per convincere tutti, perfino gli eredi di quei presunti governanti comunisti; e infatti questi eredi, per emendare le colpe dei padri, sono diventati ultraliberisti, disdegnano di essere definisti perfino socialdemocratici e accettano le incontrastate virtù del mercato. Chi ha preparato la legge a difesa delle industrie italiane è lo stesso governo che propone di introdurre gli "spiriti animali" del capitalismo nella Costituzione, anche perché il presidente del consiglio è diventato l'uomo più ricco d'Italia godendo di un monopolio nelle comunicazioni televisive garantitegli dalla politica; è lo stesso governo che è stato per mesi senza un ministro per lo sviluppo economico e probabilmente è ancora senza, visto che il sedicente ministro deve fare dell'altro. Delle due l'una: o il mercato funziona e bisogna che non abbia intralci, quindi chi ha più risorse e più capacità le usa o servono dei meccanismi di regolazione. Finora abbiamo deciso che è vera la prima ipotesi.
Peraltro il caso Parmalat è una prova eclatante del fatto che il mercato non tutela né i lavoratori né i risparmiatori. Calisto Tanzi ha organizzato una grande truffa, con la complicità di banche, grandi investitori, politici, uomini di chiesa, quegli stessi autorevoli commentatori di cui sopra che si sperticavano di lodi per l'umanesimo cristiano del patron di Parmalat. Il caso Parmalat ha dimostrato - come la vicenda Eutelia-Phonemedia, come il recentissimo caso Aiazzone, come tantissimi altri, in cui gli unici a pagare sono stati dei poveri cristi - che il mercato non è la soluzione, spesso è il problema.
Francamente a questo punto, con queste regole, o meglio "non-regole", non so dire se sia meglio che Parmalat sia diventata francese o diventasse proprietà dei Ferrero. Non mi pare ci sia una grande differenza.
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