In queste settimane gli organi di informazione hanno parlato spesso della Costa d'Avorio, un paese in genere dimenticato, come avviene per gran parte degli altri stati africani. L'attenzione rivolta dall'opinione pubblica internazionale alle rivolte nei paesi dell'Africa settentrionale e alla guerra in Libia fortunatamente si è spostata anche su questa ex colonia francese, affacciata sul golfo di Guinea, che conta circa 21,5 milioni di abitanti.
A leggere i giornali le vicende di questi ultimi mesi sono piuttosto semplici: il presidente Laurent Gbagbo, sconfitto alle elezioni dello scorso novembre dallo sfidante Alassane Ouattara, si è rifiutato di riconoscere il risultato del voto e ha scatenato una guerra civile, combattuta da entrambe le parti con feroce accanimento, a tratti con crudeltà; di fronte a questa situazione di stallo, durata alcuni mesi, le truppe francesi, con un'incerta copertura diplomatica delle Nazioni Unite, hanno di fatto deposto Gbagbo, prendendolo prigioniero e consegnandolo nelle mani di Ouattara, diventato a tutti gli effetti presidente. Pare che abbia vinto la democrazia, seppur sulle punte delle baionette dell'ex potenza coloniale.
La situazione è un po' meno lineare e merita che si faccia una riflessione sulla partecipazione di altri attori, che, pur avendo avuto un ruolo molto influente, sono rimasti sostanzialmente nell'ombra. Quando un paese occidentale interviene, come in Libia, in un paese ricco di petrolio, si immagina sempre un secondo fine, mentre quando il paese è povero di risorse energetiche pare all'improvviso che questi interessi svaniscano. Ma non c'è solo il petrolio. La Costa d'Avorio è il maggior produttore mondiale di fave di cacao: il 33% della produzione mondiale, pari circa a 1,3 milioni di tonnellate all'anno, viene da questo paese, per un giro d'affari di oltre 4 miliardi di dollari. In sostanza un terzo della cioccolata che mangiamo tutti i giorni è di origine ivoriana. Le protagoniste di questo enorme e redditizio mercato sono quattro aziende: l'olandese Cargill, la statunitense Adm, la svizzera Barry Callebaut e la britannica Armajore. Queste aziende comprano il cacao dai coltivatori ivoriani per rivenderlo a Cadbury, ossia Kraft, Nestlé e Unilever, i colossi multinazionali dell'industria alimentare.
Per il governo di Gbagbo, al potere dal 2000, i 150 milioni di dollari di tasse dirette ricavate dal cacao e le risorse, inconffessabili e inconfessate, ottenute da queste grande aziende, hanno rappresentato il fondamento essenziale della propria stabilità politica. Tra dicembre e gennaio Ouattara, forte dell'appoggio internazionale, in quanto vincitore legittimo delle elezioni, ha chiesto ai grandi grossisti di sospendere l'esportazione delle fave di cacao e ha minacciato che avrebbe tolto loro le licenze, una volta entrato nel palazzo presidenziale, se non avessero obbedito. I quattro grandi esportatori, in parte perché avevano forti legami con Gbagbo e pensavano potesse vincere e soprattutto perché non volevano perdere l'intero raccolto della stagione, hanno continuato a vendere il cacao ivoriano in Europa. E naturalmente le grandi multinazionali continuavano a comprarlo. Il 18 gennaio però è entrata in gioco l'Unione Europea che, minacciando sanzioni, ha impedito alle navi europee di attraccare nei porti ivoriani. Così sono rimaste bloccate in Africa 400mila tonnellate di fave di cacao, facendo schizzare il prezzo di questa materia prima nelle principali piazze finanziare internazionali. A questo punto la situazione era insostenibile, sia per le grandi aziende dell'industria alimentare sia per il trust degli esportatori, e questi ultimi hanno deciso di staccare la spina al regime ivoriano, di abbandonare Gbagbo e di cambiare velocemente cavallo. le forze di Ouattara, ferme da settimane, hanno cominciato a guadagnare terreno, conquistando le aree dove viene coltivato il cacao e occupando il porto di San Pedro, snodo del mercato e base delle grandi aziende del cacao. L'Onu ha sbrigativamente approvato una risoluzione contro Gbagbo, che ha permesso al governo francese di intervenire contro l'ormai ex presidente, che nel frattempo ha commesso un errore che si è rivelato fatale: ha minacciato la nazionalizzazione dell'intera filiera del mercato delle fave di cacao, sostituendosi ai grossisti traditori. Intendiamoci: che Gbagbo sia stato deposto è una soluzione positiva, perché la sua decisione di scatenare un conflitto civile ha causato migliaia di vittime, ma non illudiamoci che Ouattara cambi le cose in maniera radicale. E' facile immaginare quanto abbiano pesato sulle decisioni internazionali le azioni e le reazioni del trust del mercato del cacao, nonostante il loro ruolo non sia ai emerso, e quanto peseranno ancora.
Bisogna ricordare che, nonostante il mercato del cacao sia molto fiorente, i coltivatori delle fave di cacao sono molto poveri. La Costa d'Avorio è la seconda economia dell'Africa occidentale, ma nella classifica del Pil pro capite è agli ultimi posti. I grandi grossisti pagano ai contadini meno della metà di quanto incassano dalle industrie alimentari; poi ci sono le tasse "ufficiali", che i coltivatori devono pagare al governo e le tasse "non ufficiali", sotto forma di tangenti da pagare alla polizia per superare i tanti posti di blocco di cui sono disseminate le strade ivoriane dalle grandi foreste fino ai porti del sud. Grazie alla complicità dei vari governi, i grandi grossisti sono diventati di fatto i veri regolatori del mercato, decidono i prezzi di acquisto e determinano anche le quantità, in modo che è impossibile per i contadini pianificare i guadagni per gli anni successivi. I piccoli coltivatori, che hanno bisogno di soldi per comprare le medicine o per pagare le rette scolastiche dei figli, accettano le condizioni imposte dai grossisti, pur essendo consapevoli di essere sfruttati. Le aziende inoltre scaricano sui coltivatori le oscillazioni del mercato, senza fare alcun investimento nel paese. Sono state costituite una quarantina di cooperative di produttori, ma gli intermediari dei grandi grossisti battono palmo a palmo i villaggi per trattare con i singoli coltivatori, che sono ovviamente più deboli quando sono divisi. E' chiaro quindi che la situazione non cambierà molto, in Costa d'Avorio, chiunque sia il presidente, fino a quando rimarrà questo vero e proprio sfruttamento.
Ricordiamolo quando mangiamo il cioccolato e anche quando leggiamo i giornali.
Nessun commento:
Posta un commento