In questi giorni il dibattito è tutto polarizzato sull'incapacità del governo italiano di alzare la voce verso quello indiano e quello inglese; ad esempio sul caso Lamolinara ci sono quelli che preferiscono sottolineare la debolezza del nostro esecutivo e quelli che invece enfatizzano la superbia di quello inglese, come fossimo ancora ai tempi della perfida Albione. Nella vicenda dei due marinai italiani passiamo dal dilettantismo di chi ha deciso di impiegare militari italiani come mercenari, senza definire con chiarezza responsabilità e catene di comando, a un atteggiamento di supponenza verso un paese come l'India che, al di là delle tante contraddizioni che ancora esistono al suo interno, è ormai diventata una potenza politica ed economica. In questi anni la politica estera italiana è stata spesso dettata da obiettivi di natura economica. Di fatto la politica nello scacchiere africano è stata subappaltata all'Eni e ai suoi interessi, così come il rapporto con la Russia è stato dettato più dalle scelte commerciali di B. e dei suoi amici imprenditori piuttosto che da una visione di strategia geopolitica. E così siamo arrivati al punto che il nostro ministero degli esteri si occupa per lo più della gestione dei rapimenti dei nostri connazionali all'estero, peraltro con risultati non sempre brillanti; pare che la scelta italiana, da tempo, sia quella di pagare, più o meno tacitamente, i riscatti richiesti dai rapitori, in modo da portare a casa i rapiti il prima possibile. In sé penso che la scelta sia condivisibile, soprattutto quando si tratta di persone che sono andate in quei paesi per svolgere un'opera umanitaria.
Questa scelta di affrontare le crisi contingenti non risolve però il problema di fondo, ossia il fatto che il nostro paese da molti anni non ha più una politica estera definita. Questo pesa molto nello scenario internazionale ed è la causa di crisi come quella che coinvolge i due soldati in India. In questi anni l'Italia è stata considerata da una parte della sua classe dirigente una sorta di avamposto a difesa dei confini meridionali dell'Europa oppure come l'appendice di una politica comunitaria incerta e ondivaga. Per svolgere un ruolo attivo in politica estera l'Italia deve immaginare se stessa come promotrice attiva di dialogo e di cooperazione tra i popoli del Mediterraneo e tra questi e l'Europa. Le vicende di quest'ultimo anno hanno reso ancora più evidente che questa mediazione è necessaria. Dobbiamo avere il coraggio di mediare, partendo da tre punti su cui non è possibile trattare: il rifiuto della violenza interna a ciascun paese; la scelta della democrazia politica e la centralità dei diritti umani - diritto alla vita, alla famiglia, al lavoro, all'ambiente, diritti delle donne; il rispetto delle minoranze.
Un elemento essenziale sono gli investimenti in ricerca e in formazione. L'Italia, attraverso incentivi economici e borse di studio, potrebbe diventare il paese in cui le nuove generazioni tunisine, libiche, egiziane - e in generale dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente - possano studiare per poi tornare nei loro paesi. L'Italia in questo modo potrebbe incoraggiare i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo arabo; la cultura crea sinergie, che a loro volta aumentano le possibilità di dialogare con paesi che sono strategicamente fondamentali per l'economia e la sicurezza dell'Italia. In questa prospettiva potrebbe esserci un nuovo ruolo anche per le regioni del Mezzogiorno, che naturalmente sarebbero il fulcro di questa azione di politica estera. Credo che una diversa opzione di politica estera dovrebbe rendere chiaro quanto sviluppo del nostro paese e sviluppo degli altri paesi possano essere intrecciati, e possano significare un vantaggio anche dal punto di vista economico, molto più di occasionali contratti tra questa o quell'industria italiana e qualche paese straniero. Un paese che affrontasse con questi valori il proprio ruolo nel mondo potrebbe probabilmente far valere la propria voce nelle sedi internazionali e con gli altri paesi e potrebbe anche gestire in maniera più efficace i rapimenti di cittadini italiani nel mondo. Un modo diverso di fare politica estera c'è già, lo mostrano ogni giorno persone come Rossella Urru e i tanti cooperanti che sono impegnati in progetti per lo sviluppo di quei paesi: servirebbe un paese che facesse sentire coerenti e condivise quelle scelte.
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