La vicenda è nota: durante le olimpiadi le autorità sportive internazionali hanno segnalato il caso di un atleta italiano, già campione olimpico, risultato positivo ai controlli antidoping; il giovane che, colto in flagrante, ha ammesso la sua colpa, è stato sospeso dalle gare. Si tratta di una brutta vicenda, che merita qualche riflessione in più - non solo di carattere sportivo - perché non è soltanto la storia di un giovane debole, ma racconta qualcosa del nostro paese, dove è sempre così difficile capire dove stanno le responsabilità.
Il giovane pratica - a questo punto praticava - uno sport "minore" come la marcia. In Italia si definisce "minore" ogni sport che non sia il calcio. Per verificarlo basta sfogliare uno qualsiasi dei tre quotidiani sportivi pubblicati nel nostro paese: una ventina di pagine dedicate al calcio contro le due - quando va bene - dedicate agli altri sport. Questa sproporzione aumenta se si prendono in considerazione soltanto i servizi televisivi. Gli sport "minori" escono da questo cono d'ombra ogni quattro anni, in occasione delle olimpiadi: questa è ormai la vera "tregua olimpica". Nei giorni delle olimpiadi i giornalisti sportivi italiani ripassano velocemente le regole degli altri sport, raccolgono informazioni e tabellini e si fingono esperti; in televisione poi si recuperano "vecchie glorie" di quegli stessi sport, affidando a loro i cosiddetti commenti tecnici. Poi, visto che ogni quattro anni si scopre che in qualcuno di questi sport l'Italia può vantare campioni da medaglia - che si allenano in silenzio e con costanza - scatta l'orgoglio nazionale per questi sportivi, solitamente ignorati. I giornalisti importanti, quelli che di solito scrivono nelle prime pagine, perfino i direttori, si esercitano in panegirici su questi atleti, facendo sempre notare quanto le loro gesta debbano essere da esempio per i giovani, sottintendendo - da perfetti farisei - un giudizio negativo sul calcio e sui ricchi calciatori. I politici di tutti gli schieramenti vibrano di orgoglio nazionalista, vedendo il tricolore salire sull'asta più alta, accompagnato dalle note dell'inno di Mameli. I burocrati che comandano sullo sport nazionale approfittano di una medaglia in più o in meno per definire le loro gerarchie all'interno del Coni e delle federazioni, con bizantinismi simili a quelli del potere cinese. Poi, spento il braciere olimpico, tutto tace fino alle prossime olimpiadi, specialmente le promesse di sostenere e finanziare questi sport "minori".
Alex Schwazer era uno di questi sportivi "a gettoni". Anzi no, Schwazer era diventato - forse suo malgrado - anche un personaggio minore del "circo". Intanto perché è un italiano atipico, di confine, della più significativa e potente minoranza del nostro paese, un giovane che, nell'esibire il tricolore, sembrava ricucire una frattura sempre presente tra "loro" che non si sentono italiani e "noi" che non li consideriamo tali. Poi Alex era - spero sia ancora - fidanzato con un'altra campionessa di uno sport "minore": la loro storia d'amore era perfetta e serviva, di volta in volta, a spiegare i loro successi o le loro sconfitte. Alex era talmente perfetto da diventare - e non lo sarà più - il testimonial di una nota multinazionale dolciaria. Temo anche che il "circo" voglia recuperare Alex e spero che lui resista: il dopato pentito e piangente sarebbe l'ospite ideale di ogni reality.
Con questa "considerazione" non ho nessuna intenzione di assolvere Schwazer: ha commesso un errore molto grave, era consapevole di farlo ed è giusto che paghi. Francamente non mi sembra giusto che paghi solo lui. La marcia è certamente uno sport individuale, ma nessun atleta, tanto più se è un campione olimpico, raggiunge certi risultati da solo. Nessuno di quelli che lavoravano con lui si è mai accorto di nulla? Nessuno ha notato che, nonostante gli allenamenti, non si sentiva sicuro di sé e delle proprie prestazioni? Non hanno capito la sua fragilità? Nessuno ha notato dei risultati altalenanti o troppo regolari? Immagino che un atleta come Schwazer sia seguito da un'equipe di medici; gli dicevano soltanto quanti snack al cioccolato doveva mangiare? Io non sono un esperto, ma sinceramente mi pare che in questa storia ci siano o complicità o incompetenze e davvero non so cosa sia peggio, pensando che queste persone dovranno allenare altri giovani. All'indomani della scoperta - poi non ho visto la televisione per alcuni giorni - ho sentito un'intervista, piuttosto disgustosa, del presidente della Fidal, la cui unica preoccupazione evidente era quella che qualcuno approfitti di questa storia per toglierlo di lì. Se davvero la federazione volesse combattere il doping farebbe propri controlli, ma non mi pare che questa sia una sua priorità.
Ripeto non ho simpatia per Schwazer e condanno quello che ha fatto, ma mi disturba la retorica cresciuta intorno al caso. Schwazer è stato additato di volta in volta come il traditore dello spirito olimpico, il traditore della fiducia che l'Italia ha riposto in lui, il traditore dei sani valori dello sport. Balle. A nessuno di quelli che scrive, a partire dai vertici della politica sportiva, importa un fico secco dello spirito olimpico e dei sani valori dello sport, quanto all'Italia, Schwazer le ha dato esattamente quello che ne ha ricevuto.
Disturbano i toni roboanti della retorica antidoping nell'atletica e negli altri sport, tanto più perché sono fatti negli stessi giornali - e a volte dagli stessi giornalisti - che usano parole concilianti con i calciatori e le squadre che hanno truccato gli ultimi campionati italiani di calcio. Schwazer è un traditore, un infame, mentre Conte - che con la richiesta di patteggiamento ha ammesso l'illecito sportivo - è l'allenatore di una delle squadre più importanti d'Italia e l'ospite coccolato di tutte le trasmissioni sportive. D'altra parte di atletica non si parlerà più per quattro anni, mentre di calcio e con il calcio ci campano tantissime persone. Va bene così, ormai il mondo abbiamo rinunciato a cambiarlo, almeno rispamiateci le lacrime.
Nessun commento:
Posta un commento