Voglio attirare l'attenzione dei miei lettori su una notizia che è passata - come molte altre, specialmente quelle di politica estera - inosservata; eppure questa notizia riguarda un paese non molto lontano dall'Italia, le cui difficoltà possono ricadere sul nostro paese e sull'intera Europa, visto che le persone che, a causa dell'aggravarsi della crisi, decidono di lasciare il Marocco finiscono per arrivare nei paesi della costa settentrionale del Mediterraneo. Come spero riuscirò a spiegarvi, la vicenda del Marocco è interessante anche per un altro motivo: mette in evidenza come si muovono le autorità finanziarie internazionali e quindi cosa sta succedendo in Grecia, in Spagna e presto succederà in Italia. Lo scorso 3 agosto il Fondo monetario internazionale ha deciso di concedere al governo di Rabat un finanziamento di 6,2 miliardi di dollari, una cifra molto importante, che rappresenta più della metà del debito estero contratto dal paese magrebino negli ultimi decenni. La presidente del Fmi Christine Lagarde ha detto che si tratta di "una polizza assicurativa contro gli eventuali rischi che incombono sull'economia marocchina". Al di là di queste parole, apparentemente rispettose dell'autonomia delle autorità politiche marocchine, il Fmi si prepara a influenzare in maniera diretta la politica di quel paese. Come è avvenuto già troppe volte, in America latina come nell'Africa australe, e come sta avvenendo in questi mesi nell'Europa meridionale, questi soldi che dovrebbero aiutare il Marocco a liberarsi da una situazione di dipendenza, non faranno altro che mantenere il paese nella spirale dell'indebitamento, da cui sarà sempre più difficile uscire.
Naturalmente un prestito di tale entità prevede delle contropartite. Di fronte alle polemiche il governo marocchino ha detto che probabilmente i fondi del Fmi non saranno neppure utilizzati. Si tratta ovviamente di una sciocchezza: se il Marocco non aveva bisogno del prestito, avrebbe semplicemente potuto fare a meno di chiederlo. Dal momento che il prestito - che venga utilizzato o meno - una volta erogato matura interessi, è ovvio che il governo marocchino utilizzerà i soldi ricevuti. Il Fmi chiede garanzie, perché - come ogni banca - vuole che il denaro che ha prestato venga restituito. Con gli interessi. Il governo di Rabat ha già inviato una lettera al Fmi in cui si impegna ad accogliere i "suggerimenti" dei funzionari del Fondo. Possiamo immaginare su che temi si eserciterà l'influenza del Fmi: tagli sostanziali alle spese pubbliche, riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale, riduzione delle imposte dirette e aumento di quelle indirette. Vi ricorda qualcosa? sì, è proprio la famosa "agenda Monti", quella applicata dall'attuale governo e a cui si dovrà attenere anche il prossimo, indipendentemente da chi vincerà le elezioni.
Una delle prime "vittime" del Fmi sarà la Caisse de compensation, ossia il sistema che da anni in Marocco garantisce le sovvenzioni per i prodotti di base - farina, riso, zucchero, ma anche benzina e gas - pare che nella prossima finanziaria sia già prevista una drastica riduzione, se non la soppressione, di questo strumento. Certamente la Caisse de compensation è stato il mezzo attraverso cui il re e il governo del Marocco sono riusciti nel 2011 a impedire che la cosiddetta "primavera araba" si espandesse anche in quel paese; proprio nel 2011 questo sistema di sovvenzioni ha raggiunto l'8% del bilancio statale, rendendo meno dura la condizione di vita delle famiglie più povere, specialmente dei giovani, che sono stati i protagonisti di quelle rivolte. Certo la Caisse de compensation così come è dovrebbe essere radicalmente riformata, perché finisce per essere un sistema non equo, dal momento che non fa alcuna differenza tra colui che compra il prodotto sovvenzionato avendone un reale bisogno e colui che non ne ha necessità: poveri e ricchi godono delle stesse sovvenzioni. Il Fmi ha già chiesto che questo sistema venga profondamente riformato, perché non favorisce la concorrenza in una logica di libero mercato e perché ormai è economicamente insostenibile. Come spesso avviene si getta il bambino con l'acqua sporca. La riforma, che sarebbe comunque necessaria - proprio per le disparità che sopra ho descritto e perché la Caisse è diventata uno strumento di politica clientelare - si tradurrà semplicemente in una serie indiscriminata di tagli, con l'unica conseguenza di un aumento del costo della vita, tanto più difficile da sopportare perché i salari vengono congelati. Il conto di queste scelte sarà pagato dagli strati più indigenti della popolazione, mentre non si farà nulla per introdurre nuove regole contro la corruzione e contro quei gruppi che hanno contribuito a mettere in ginocchio l'economia del paese.
La reticenza con cui le autorità marocchine e gli stessi funzionari del Fondo parlano del prestito a quel governo non è legato a un sussulto di dignità, ma è determinata da quello che è successo negli anni passati. Nel 1978, su richiesta del Fmi, il governo attuò un programma di riforme economiche basato sulla riduzione degli investimenti statali, l'aumento delle tasse e il blocco dei salari. La popolazione scese in piazza e quei provvedimenti furono ritirati. Nonostante questo nel 1980 il Fondo impose l'adozione del Piano di aggiustamento strutturale (Pas) che prevedeva, tra le altre misure, la riduzione delle sovvenzioni sui prodotti alimentari. In pochi giorni i prezzi di questi prodotti salirono alle stelle - ad esempio quello della farina crebbe del 50% - e si rinnovarono i tumulti. Questa rivolta fu particolarmente grave a Casablanca, dove ci furono centinaia di morti. Da allora Pas è diventato sinonimo di sacrifici e repressione e quindi è comprensibile che il governo e il Fondo questa volta cerchino di attenuare la portata dell'intervento, che però ha caratteristiche molto simili.
Lo scorso 9 ottobre il Fmi ha presentato uno studio secondo cui il tasso di crescita del Marocco si attesterebbe al 5%; si tratta di una previsione ottimistica e poco realistica, dal momento che l'attuale tasso di crescita è stabile al 2%; contemporaneamente l'agenzia di rating Standard and Poor's ha definito "negativa" la capacità del Marocco di rimborsare i propri debiti, aggiungendo che "se la disoccupazione rimarrà ostinatamente elevata, il costo della vita aumenterà e se le riforme politiche si riveleranno deludenti per la popolazione, si correrà il rischio di disordini sociali su vasta scala". Apparentemente sembrano due giudizi discordanti, ma l'impressione è che Fmi e Standard and Poor's giochino al poliziotto buono e poliziotto cattivo. Uno spiega che la situazione è critica e l'altro che se ne può uscire, mentre il governo marocchino è invitato a insaponare la corda a cui sarà impiccato.
Nel bilancio del 2012 le entrate derivanti dalle imposte coprono soltanto il 60% delle spese; occorre quindi trovare nuove risorse e visto che le scorte di idrocarburi sono sostanzialmente esaurite, l'unica via di uscita è l'indebitamento. Secondo diversi analisti, questa situazione non è il frutto della crisi della zona euro - come spiegano i governanti di Rabat - ma il risultato di scelte disastrose in campo fiscale, nella gestione delle riserve di cambio, nella programmazione degli investimenti. Negli ultimi venti anni si è ridotto il gettito fiscale, dal momento che il governo ha abbassato le imposte dirette sulle fasce di reddito superiori e ha ridotto la tassazione sulle aziende; queste misure hanno favorito chi era già molto ricco, senza avere alcun beneficio sull'economia reale del paese. I ministri del re avevano promesso che tasse più basse per i ricchi avrebbero favorito gli investimenti e il passaggio alla "legalità" di tante attività che vivono in maniera informale. Non si è verificata né l'una né l'altra cosa: l'evasione fiscale raggiunge livelli altissimi e la fuga di capitali all'estero è stimata a oltre 2 miliardi di dollari all'anno, un terzo del prestito del Fmi.
Ci sono altri fattori che pesano sull'economia del Marocco. Nonostante le dichiarazioni, la qualità del pubblico impiego continua a essere scarsa, dal momento che le assunzioni continuano a essere o una valvola per allentare le pressioni sociali o - come è avvenuto in Grecia e in Italia - un'opportunità per favorire reti di clientele. Il Marocco degli ultimi dieci anni ha conosciuto una grande mole di investimenti, su settori che non hanno inciso sull'economia del paese: né la rete di autostrade né la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità - la prima dell'Africa - ha rappresentato un vero passo in avanti per il paese. Anche su questo le assonanze con le nostre vicende domestiche sono piuttosto inquietanti.
L'agricoltura è il settore dove è più evidente la miopia dei governi che si sono succeduti in questi anni in Marocco. Si è puntato sui prodotti da esportazione (pomodori, fragole, banane) - secondo le indicazioni dei tecnici del Fmi e delle altre agenzie internazionali - senza valutare che questo settore coinvolge solo il 2% delle aziende agricole e non si è investito sui prodotti di prima necessità, di cui le aziende agricole marocchine riescono a coprire meno della metà del fabbisogno interno. Adesso una parte dei pomodori prodotti rimangono venduti, mentre il grano viene importato a prezzi sempre più elevati. In questa situazione difficile, naturalmente la crisi della zona euro ha dato il colpo di grazia: i paesi europei - che erano i primi importatori dei prodotti marocchini - hanno ridotto il volume di queste importazioni; i turisti europei hanno ridotto i loro budget e un paese come il Marocco, dove il turismo dalla Spagna era particolarmente significativo, ne ha risentito; infine la crisi in Europa ha reso meno fiorenti e più precarie le rimesse dei marocchini residenti all'estero.
Questa è la situazione del Marocco: è una situazione oggettivamente difficile, ma il prestito del Fmi non riuscirà a risolvere nessuno dei problemi che trascinano nella miseria quel paese e i suoi abitanti, anzi contribuirà ad affondarlo. Questa è una storia che presto dovremo tenere a mente, temo.
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