Questa parola è arrivata in italiano dal francese mosquée, che deriva a sua volta dallo spagnolo mezquita; gli spagnoli coniarono questa parola dall'arabo màsgid - in cui si trova la radice del verbo sagiad, prosternarsi - arrivato ai crociati nell'adattamento armeno mzkith. Nell'italiano antico troviamo anche la parola meschita - con tutta evidenza arrivata direttamente dallo spagnolo, senza il passaggio attraverso il francese. Dante usa questa parola per indicare le alte torri della città di Dite, nell'VIII canto dell'Inferno:
già le sue meschite / là entro certe ne la valle cerno / vermiglie come se di foco uscite / fosseroAriosto invece la usa comunemente con il significato di moschea:
Ardea palagi, portici e meschite.La moschea è l'edificio del culto musulmano che, secondo la tradizione, deriverebbe la sua prima forma architettonica dalla casa di Medina in cui Maometto era solito riunire i suoi proseliti per discutere questioni religiose; in origine la moschea era usata anche a scopi profani, come luogo di riunione di fedeli, sede della maggiore autorità politica e militare, luogo di ricovero e alloggio, mentre ora si tratta prevalentemente di un luogo riservato alla preghiera e all'insegnamento religioso.
Ho deciso di affrontare questa definizione non solo per l’etimologia interessante, che chiama in causa almeno altre quattro lingue - prova ulteriore della mescolanza della nostra lingua e, di conseguenza, della nostra cultura - ma soprattutto perché alcuni giorni fa sul blog LaboratoriopoliticaBologna è stato pubblicato un articolo intitolato 10 (buone) ragioni per non costruire la moschea a Milano.
Alcune di queste dieci ragioni lasciano oggettivamente il tempo che trovano e anzi mi pare indeboliscano un articolo che fornisce invece degli spunti molto interessanti. Il fatto che la presenza di una moschea farebbe crollare i prezzi degli immobili vicini e che un minareto, con la sua altezza, sarebbe un’ostentazione della presenza dell’islam in città - come un Pirellone qualsiasi - sono motivi che rischiano di ritorcersi contro chi non vuole la moschea. Se i costruttori della moschea si impegnassero a valorizzare un’area abbandonata della città - come fanno quelli che propongono la realizzazione di un centro commerciale o di una multisala - monetizzando il “disturbo” con opere infrastrutturali utili all’intera città, come una strada, e si impegnassero a tenere basso il minareto, allora non ci sarebbero più seri argomenti per negare l’autorizzazione: la costruzione di una moschea diventerebbe una questione puramente economica ed urbanistica.
Al termine della ragione nr. 8 l’autore si chiede: “Milano è forse in vendita?“. Una domanda retorica, evidentemente, di una persona che pensa che una città non dovrebbe esserlo. Su questo sono d’accordo con lui. Il problema è che Milano, come ogni altra città - piccola e grande - di questo paese è in vendita già da molti anni. Altrimenti non ci spiegheremmo come mai continuino a sorgere nuovi e brutti palazzi assolutamente inutili, dal momento che altre abitazioni non servono, ma basterebbe sistemare quelle che già ci sono, continuino a nascere nuovi e brutti centri commerciali, insomma continuino a venir fuori nelle nostre periferie nuovi e brutti edifici che non servono, solo per alimentare un’industria edilizia che non sa fare altro che costruire - peraltro male - per soddisfare la megalomania di ingegneri ed architetti, e soprattutto per tenere in piedi un sistema di tangenti che fa vivere una parte consistente della politica e della pubblica amministrazione.
Curioso che la critica a questo sistema, adesso in nome di valori etici e religiosi, la faccia chi in Lombardia ha sempre governato male - con camicie bianche, azzurre, verdi (lo hanno fatto anche quelli con le camicie rosse o rosa, purtroppo) - e, come si legge nelle cronache di questi giorni e di queste settimane, ha sempre attinto a piene mani da quelle casse. Quindi Milano l’avete già venduta e adesso non potete fare le anime candide, in nome della difesa della cattolicità.
Ha poco senso anche la critica che la moschea sarebbe un pericolo per la città perché non sarebbe solo un luogo di culto, ma “un centro dove la comunità si raduna per affrontare questioni culturali, sociali e politiche”. Pensate se le “vostre” chiese fossero soltanto luoghi di culto, peraltro sempre meno frequentati, e non ci fossero intorno oratori, strutture sportive, asili e ospizi, se non fossero il centro di una rete di forte ed organizzato associazionismo, da cui peraltro molti di voi prendono i voti - non quelli sacri, ma quelli più profani, che a voi interessano. Peraltro siete sempre voi che avete inventato la sussidiarietà, proprio per finanziare con i nostri soldi questa rete di servizi privati, mentre da amministratori smantellavate quelli pubblici. Come vedete anche su questo tema credo fareste meglio a tacere: fate miglior figura.
Come ho detto, non sono queste le parti più interessanti dell’articolo, che invece - al di là di un evidente e manifesto pregiudizio e di un latente razzismo – pone all’inizio una questione vera. L’autore dell’articolo dice infatti
L’Islam non è, formalmente, una religione. L’articolo 8 della Costituzione sancisce, sì, che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, ma precisa che quelle diverse dalla cattolica non possono andare in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. […] E qui i problemi sono due: il primo è che nessuno è ancora riuscito a dimostrare formalmente che l’Islam sarebbe compatibile con i valori costituzionalmente sanciti; il secondo è che non c’è rappresentanza, nel senso che, non essendoci una gerarchia piramidale, nell’islam vige l’autoreferenzialità.Come probabilmente avrete capito, io sono uno di quelli che spera che a Milano nasca una moschea e che ha ritenuto uno dei limiti dell’amministrazione di Cofferati non essere andata avanti con più determinazione nella decisione di costruirne una a Bologna.
Peraltro io non ho grandi simpatie per la religione islamica - non ne ho neppure per la vostra, se è per quello - ma credo sia un diritto che tutti - sia voi che loro - abbiano dei luoghi in cui pregare. Ricordo che ci abbiamo messo alcuni secoli per far sì che la religione cattolica non continuasse ad essere in contrasto con i diritti individuali delle persone, ossia con i valori che successivamente sono stati espressi dalla nostra Costituzione del ’48. E’ stata una lotta durissima, in cui voi avete ucciso molti di noi, ma non vi serbiamo rancore. Per fortuna adesso chi professa la religione cattolica - quasi tutti, perché qualche talebano rimane ancora tra di voi - accetta i principi costituzionali. E’ stato un cammino lungo, ma ci siete riusciti, perché non dovrebbero riuscirci i musulmani? Ovviamente mi auguro che la lotta con l’islam sia meno lunga e meno cruenta di quella che abbiamo dovuto ingaggiare contro di voi.
Il principio basilare è quello che è giustamente scritto nell’articolo e che ribadisco ancora una volta: la religione islamica, nelle sue varie forme, non può entrare in contrasto con i principi della Costituzione. Si tratta, come è evidente, di un percorso di crescita culturale - allo stesso modo in cui lo è stato per la vostra religione - che non sarà semplice, ma su cui è necessario tenere la barra diritta e su cui è necessario investire, perché la presenza di persone di religioni diverse all’interno della nostra società è un dato ormai ineliminabile.
Personalmente penso che questo percorso di crescita sarà più semplice se ci saranno luoghi in cui tale confronto sia possibile, per questo auspico che nascano moschee, non solo a Milano. So che non ci sarà un Vaticano II della religione islamica né ci sarà un papa Francesco con cui dialogare - sarebbe stato più semplice - ma dovremo forse fare percorsi più complicati, individuali. Credo che anche in questo l’educazione e la formazione - come ho scritto nella definizione di integrazione - possano fare tantissimo e, alla lunga, saranno determinante per vincere questa sfida.
Nessun commento:
Posta un commento