domenica 20 luglio 2014

"Eternità del ficodindia" di Mahmoud Darwish


Dove mi porti padre?
Verso il vento, figliolo.
Via dal pianoro dove i soldati di
Bonaparte elevarono terrapieni
per spiare le ombre sui bastioni
vecchi di San Giovanni d’Acri.
Un padre disse al figlio: non avere
paura del fischio delle pallottole!
Aggrappati alla terra e sarai salvo.
Noi sopravviveremo,
saliremo
sui monti a settentrione, ritorneremo
quando i soldati vanno a casa,
lontano.
- Dopo di noi chi abiterà la nostra casa,
padre?
- Rimarrà, figliolo, tale e quale noi l’abbiamo lasciata.
Tastò le chiavi come fosse il suo corpo
e si sentì sicuro.
Passando una barriera di rovi, disse:
ricorda, figliolo, qui gli Inglesi
in croce, sulle spine di un ficodindia,
per due notti intere
misero tuo padre.
Ma non parlò. Tu crescerai
e agli eredi dei fucili
racconterai di quel sangue versato sul ferro.
- Perché hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine, padre?
- Perché dia vita alla casa, figliolo.
Le case muoiono se parte chi le abita.
L’eternità apre le porte
da lontano ai viandanti della notte.
Ululano i lupi delle terre desolate
a una luna spaurita.
E un padre dice al figlio:
sii forte come tuo nonno,
sali con me l’ultimo poggio
delle querce, figliolo.
Ricordati: qui il giannizzero è caduto
giù dalla mula da guerra,
tieni duro con me
e ritorneremo
- Ma quando, padre?
- Fra un giorno, figlio, forse tra due.
Un distratto domani dietro a loro
masticava un lungo, notturno vento invernale.
I soldati di Giosuè
con le pietre della loro casa
edificavano una cittadella.
Erano ansanti sulla via di Cana.
Qui passò un giorno nostro Signore,
qui cambiò l’acqua in vino e a lungo parlò
dell’amore, ricordalo domani.
Ricorda i castelli dei crociati
annientati dall’erba d’aprile
alla partenza dei soldati.

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