Italo è la vittima, Roberta è la vittima, anche Fabio è la vittima. Qualcosa non va: non può esserci una storia in cui ci sono soltanto vittime. Abbiamo bisogno che ci sia un colpevole: in fondo è rassicurante. La vicenda è purtroppo nota: Italo ha causato la morte di Roberta in un incidente stradale e Fabio, che amava Roberta, l'ha ucciso. Fabio ha certamente commesso un reato, molto grave, forse anche Italo ne ha commesso uno, meno grave, perché ovviamente non aveva l'intenzione di uccidere la ragazza. Roberta è l'unica davvero innocente. Ma questo è l'aspetto penale della storia, che è importante, ma che immagino abbia ormai poco significato per quelle famiglie, per quelli che sono rimasti. E anche per noi.
Poi ci sono queste tre vittime: due morti e uno sulla cui coscienza grava un peso indicibile. La storia di queste tre persone, di queste tre vittime, in qualche modo interroga tutti noi. Ciascuno di noi è sinceramente convinto che se gli succedesse quello che è successo a Fabio non si comporterebbe allo stesso modo, ciascuno di noi pensa che saprebbe controllare la propria rabbia, che riuscirebbe a gestire quel dolore. E' legittimo che siamo convinti di questo, è un bene che nella stragrande maggioranza dei casi le persone effettivamente ci riescano e che le vicende come quelle raccontate in questa brutta storia di cronaca siano un'eccezione, ma non possiamo esserne certi. Se non siamo santi - e non lo siamo - dobbiamo accettare questa nostra fragilità, sapere che potrebbe capitare anche a noi, che la rabbia potrebbe travolgerci. E che potremmo uccidere - o ucciderci - per la rabbia di non poter sopportare un dolore che ci dilania. Siamo debolissimi e prima lo capiamo meglio è.
Personalmente penso che essere consapevoli che in ogni momento possiamo spezzarci sia già una specie di punto di arrivo, qualcosa che alla fine può salvarci. Poi possiamo cercare di fare qualcosa di più, possiamo lavorare su noi stessi, sulla nostra rabbia, magari facendoci aiutare da chi sa e può farlo. Possiamo diventare più maturi, essere consapevoli che il mondo ha le sue regole - o non ha regole - e quindi che noi dobbiamo imparare a piegarci, ad adattarci ai cambiamenti, soprattutto quelli che non ci piacciono e soprattutto ad accettare il dolore, anche quando colpisce qualcuno a cui vogliamo bene.
Nonostante crediamo di sapere molte cose sulla nostra mente, nonostante ci siano tanti esperti in grado di aiutarci - o che millantano di aiutarci - in fondo non ne sappiamo poi tanto e non è affatto facile controllare il dolore e la rabbia. Poi viviamo in un mondo che non ci aiuta, perché ogni giorno ci vengono chieste prestazioni spesso superiori alle nostre forze. E' un mondo in cui dobbiamo essere sempre connessi, in cui dobbiamo sempre saper dire la parola giusta al momento giusto, in cui dobbiamo sempre fare la cosa giusta al momento giusto, in cui dobbiamo essere fisicamente perfetti, sempre belli, magri, sportivi, in cui dobbiamo essere sempre giovani e sani. Siccome sono cose impossibili, siamo sottoposti di continuo a una tensione che credo porti ad acuire la nostra rabbia, o che almeno non favorisca affatto la nostra capacità di tenerla sotto controllo. Nuotiamo controcorrente, anche quando abbiamo ancora la forza e la volontà di farlo. Viviamo in un mondo che ci rende più deboli proprio quando ci illude che siamo forti.
E qualcuno non ce la fa. Chi non c'è la fa è colpevole? Certo per la legge è colpevole; ed è giusto che sia così. Fabio deve scontare la sua pena, anche se quasi sicuramente non gli servirà a nulla, perché la nostra società al massimo punisce - quando ci riesce - ma non rende più forti, non aiuta a capire perché chi ha sbagliato lo ha fatto. Chi non ce la fa è colpevole soprattutto per se stesso, e la sua pena più pesante sarà portarsi dietro questa inadeguatezza. E' una pena da cui si può finire per essere schiacciati, in un esito autodistruttivo: spero non sia così per Fabio, ma ha già dimostrato di essere molto debole. Molto più debole della sua rabbia. E anche noi, ogni giorno, condividiamo questa debolezza. E, come Sisifo, portiamo un masso enorme, con grande fatica lo trasciniamo fino alla cima del mondo, ma proprio quando siamo arrivati rotola a terra e ricomincia la fatica. Ma questo non è un supplizio che dovremo patire in un'altra vita, che non ci sarà, ma in questa vita.
Come dice Lucrezio:
qui infine s'avvera per gli stolti la vita dell'inferno.
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