domenica 11 giugno 2017

Verba volant (393): perdere...


Perdere, v. tr.

Ci sono molte ragioni che rendono Enrico Berlinguer incomprensibile a noi, che abbiamo la sfortuna di diventare vecchi in questi tempi bui e soprattutto a chi non ha avuto l'opportunità di vivere, anche solo per qualche tempo, quegli anni. C'è prima di tutto la tenacia - che qualcuno adesso chiamerebbe ostinata - di definirsi comunista, in un mondo in cui il comunismo realizzato già mostrava tutti i suoi terribili limiti. Poi c'è il suo modo di parlare, di scrivere: non è facile leggere quello che scriveva Berlinguer o ascoltare i suoi comizi, perché amava i pensieri lunghi, perché occorre prestare attenzione ai suoi ragionamenti; ma forse un uomo così intelligente avrebbe imparato a scrivere anche nello spazio ristretto e claustrofobico dei 140 caratteri di un tweet e questi suoi pensieri sarebbero stati comunque "lunghi".
La cosa però davvero incomprensibile di Berlinguer, la cosa che lo rende assolutamente inattuale, è il fatto che ha sempre perso. Ovviamente so bene che viveva in un'epoca in cui poteva solo perdere, in cui il suo partito era destinato a rimanere all'opposizione. Anche lui sapeva che avrebbero fatto di tutto per impedirgli di vincere. E fecero di tutto. Compreso attentare alla sua vita, come avvenne in Bulgaria nel '73. Comprese le stragi di persone innocenti, da piazza Fontana alla stazione di Bologna. Però Enrico Berlinguer ci mise anche del suo per perdere, commise errori, sbagliò valutazioni: fu sconfitto anche per sue responsabilità. Eppure, nonostante continuasse a perdere, continuò a essere il leader di una comunità grande, continuò a essere stimato e amato, come testimonia quella grande manifestazione di popolo - l'ultima grande manifestazione di popolo di questo paese - che furono i suoi funerali, il 13 giugno 1984.
Perché per quella comunità di donne e di uomini vincere era certamente importante, ma non era tutto. O almeno non avrebbero sacrificato alla vittoria gli ideali di una vita.
Cosa ci è successo? Quando siamo così radicalmente cambiati? E' difficile dirlo, quando vivi una trasformazione storica per lo più non te ne rendi conto. Eppure pensate quanto siamo diversi da allora, se abbiamo potuto accettare che vincere fosse più importante di qualunque altra cosa. E un leader che non vince sparisce dalla scena. Persone che piansero - sinceramente, non ho motivo di dubitarne - per la morte di Berlinguer, hanno accettato renzi perché "con lui avremmo vinto". Quante volte abbiamo sentito questa frase e quante volte, più o meno inconsciamente, ancora la ripetiamo. Sentiamo come una ferita il fatto che il Labour di Jeremy Corbyn non abbia vinto le elezioni nel Regno Unito, perché ormai siamo convinti che ci sia un solo risultato possibile: vincere. Guardiamo con ansia alle prossime elezioni politiche nel nostro paese perché sappiamo che saremo sconfitti e questo significa in qualche modo non essere. La stessa ansia - pasticciata e affrettata - con cui pensiamo a come presentarci comunque alle elezioni, con uno schieramento il più largo possibile, indipendentemente dalle cose che pensiamo - è figlia di questo bisogno spasmodico di vincere.
Enrico Berlinguer è per molti aspetti un uomo del suo tempo - ogni grande politico lo è - ma credo che alla fine ancora oggi ci insegni, tra le altre cose, anche questo: che vincere non è più importante che rimanere fedeli alle proprie idee e soprattutto che vincere non può farci dimenticare di cambiare il mondo.  

Nessun commento:

Posta un commento