lunedì 26 giugno 2017

Verba volant (402): siccità...

Siccità, sost. f.

Nella città in cui vivo César Ritz aprì il primo albergo in Italia in cui c'era l'acqua calda e fredda in tutte le camere: era il 1910, poco più di un secolo fa. Non l'ho presa alla lontana come può sembrare, perché la questione è tutta qui: in questi cento anni, dall'inaugurazione di quell'albergo di lusso dove soggiornavano i re a oggi, quando tutti - anche noi bisnipoti di quelli che al Grand Hotel non potevano neppure sognare di entrare - ci siamo convinti che l'acqua sia un bene che possiamo avere sempre a nostra disposizione e che potremo avere per sempre. E' un'illusione: prima lo capiremo, meglio sarà. Anche se forse è perfino troppo tardi.
In questi giorni noi che viviamo qui in Emilia guardiamo preoccupati al Po, al "grande fiume", sempre più basso, sempre più secco. sempre meno grande. Quando vivi vicino a un fiume come il Po, anche noi "moderni" possiamo capire perché per gli antichi i fiumi, come le fonti, come ogni altro aspetto della natura, fossero considerati alla stregua di dei. I nostri genitori ci hanno insegnato ad avere paura del Po, perché la sua forza può essere terribile, le sue acque possono distruggere case e stalle, possono devastare i campi, possono uccidere gli uomini. E ci hanno insegnato a sentirci fragili di fronte a questo fiume che, con la sua forza, può portare la morte. Eppure dobbiamo sentirci fragili anche oggi, che il Po è lì, fragile anch'esso, quasi un torrente, una lingua di acqua in mezzo alle sabbie. 
Il nostro problema però è che non abbiamo memoria: se stanotte comincerà a piovere, non penseremo più al Po, anzi ci lamenteremo perché avevamo organizzato una cena in terrazza o perché dobbiamo andare al concerto di Vasco. La differenza con i nostri vecchi sta qui: che loro non si dimenticavano del Po, anche quando era benigno, quando non provocava disgrazie, quando non uccideva. I nostri vecchi non credevano più che il Po fosse un dio, anzi avevano imparato a sfruttarne le acque, a incanalarle, ci avevano costruito dighe e centrali, ma non dimenticavano che quel fiume era parte della loro vita e che la loro vita dipendeva dal Po. Noi ce ne dimentichiamo ogni volta che apriamo un rubinetto, che lasciamo scorrere l'acqua, che gettiamo via l'acqua, perché abbiamo imparato a fare anche questo, nella nostra mania di sprecare le risorse che ci hanno donato.
Ormai ci hanno spiegato che il caldo di questi giorni non è un fenomeno naturale, che siamo noi i responsabili di questo clima così innaturale, anche se facciamo finta che non sia colpa nostra. Adesso possiamo dare la colpa a Trump e stare in pace con la coscienza. Ma anche se la siccità di questi giorni fosse un fenomeno esclusivamente naturale, noi non sapremmo più come affrontarla, perché non sappiamo più come affrontare la natura. Perché abbiamo perso la memoria e il senso dell'equilibrio. 
Nessuno vuole tornare al tempo in cui l'acqua corrente era appannaggio dei ricchi, anzi la storia di questo secolo è stata la storia di come i nostri padri hanno conquistato l'acqua - e non solo l'acqua - come l'hanno resa un bene pubblico. Tutti dobbiamo avere la possibilità di avere in casa l'acqua, anzi la nostra battaglia deve essere quella di far avere l'acqua in casa a tutte le famiglie che vivono su questa pianeta, perché per milioni di persone l'acqua è ancora un lusso. Il senso del nostro impegno politico deve essere quello di far sì che tutti abbiano le cose che abbiamo noi, anche se non per nostro merito. Invece noi, non solo non facciamo nulla affinché gli altri abbiano l'acqua, ma facciamo di tutto affinché non l'abbiano neppure i nostri figli. E, guardando il "grande fiume", sembra proprio che ci stiamo riuscendo.  

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