Bicicletta, sost. f.
Devo fare una confessione e spero che i miei colleghi della polizia municipale non leggano questa definizione; comunque credo che anche i miei "reati" stradali siano ormai andati in prescrizione. Quando vivevo a Bologna sono stato un ciclista indisciplinato: sono passato con il rosso, ho preso strade contromano, ho fatto qualche pezzo di portico. Sono stato anche uno scooterista indisciplinato, ma con il motorino non sono mai andato sotto i portici. Nonostante tutto questo, sono stato fortunato e non ho mai fatto incidenti. E non ho mai preso una multa. Adesso sono soltanto un pedone e cerco di essere abbastanza disciplinato, sarà l'età.
Scrivo questo - che a voi giustamente non interessa - perché il sedicente sindaco di Bologna ha chiesto ai vigili di prestare maggiore attenzione alle infrazioni commesse da chi va in bicicletta, anche cominciando a dare loro delle multe. Come ci si poteva attendere questa decisione è stata accolta o con ironia o con rabbia da chi utilizza le due ruote: il vero problema, secondo loro, sono gli automobilisti, sono loro che provocano gli incidenti e sono loro che dovrebbero essere multati. Alcuni l'hanno messa anche in politica: una città, specialmente una città "fragile" come Bologna, dovrebbe incentivare i suoi cittadini a usare la bicicletta per i propri normali spostamenti, dovrebbe ringraziarli e non multarli, quindi questa campagna sarebbe sbagliata. Stavolta, purtroppo, mi tocca essere d'accordo con Merola.
E' curioso come, qualunque cosa accada, ci sentiamo sempre membri di una categoria e come, in quanto tali, tendiamo a difenderci, anche quando siamo indifendibili. E siamo anche capaci di essere ottusamente corporativi a corrente alternata: quindi, se un giorno andiamo in bici, pensiamo che i ciclisti abbiano più diritti di tutti, mentre se il giorno dopo prendiamo l'auto, allora diventiamo strenui paladini dei diritti degli automobilisti. Perché in sostanza noi abbiamo sempre ragione e gli altri hanno sempre torto, ma soprattutto noi possiamo anche infrangere le regole, quando ci fa comodo, mentre gli altri non possono mai farlo. E troviamo sempre una giustificazione per assolverci.
Ma la questione ancora più grave è che preferiamo divagare - e quindi ci accapigliamo sulle multe ai ciclisti - piuttosto che affrontare una questione così importante come la mobilità nelle nostre città, un problema che ci riguarda tutti, indipendente dal mezzo che usiamo per spostarci, anzi che ci riguarda anche se non ci spostiamo affatto, perché incide direttamente sulla qualità dell'aria, sull'inquinamento acustico, sul modo in cui vivono tutti i cittadini.
Le città in cui viviamo stanno letteralmente collassando sotto il peso dei nostri mezzi di trasporto e noi guardiamo da un'altra parte, perché non vogliamo rinunciare a quello che consideriamo ormai un nostro diritto, ossia spostarci da una parte all'altra il più velocemente possibile, e, se proprio vediamo che tutti non possiamo farlo contemporaneamente, pensiamo che gli altri dovrebbero fermarsi per fare posto a noi. Se ci chiedono se pensiamo che sia giusto limitare il traffico, tutti siamo favorevoli, beninteso basti che non vengano posti limiti a noi, perché noi abbiamo proprio bisogno di andare di qua e di là. E' giusto vietare il traffico, ma per noi deve essere fatta un'eccezione. E questo vale per tutti: automobilisti, ciclisti, pedoni.
Dovremmo cominciare a capire che è il venuto il momento di fermarsi, di non continuare a pretendere di potersi muovere sempre, perché le nostre città non possono resistere e anche noi, alla lunga, non possiamo resistere a questo stile di vita, che ci sta distruggendo.
Invece: fermatevi tutti, che passiamo noi.
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