Mimosa, sost. f.
Noi chiamiamo, non del tutto correttamente, mimosa l'acacia dealbata, una pianta pioniera dai classici fiori gialli molto delicati, che le donne dell'Udi, in particolare la deputata comunista Teresa Mattei, una delle "madri costituenti", vollero come simbolo della Giornata internazionale della donna. Longo le chiese di valutare la violetta, come avevano scelto le compagne francesi, ma Teresa Mattei spiegò che la mimosa era un fiore più povero e molto diffuso nelle nostre campagne. Erano probabilmente esemplari di acacia dealbata anche gli "orribili fiori gialli inquieti" che Margherita aveva in mano quando il Maestro la vide per la prima volta sulla Tverskaja. L'etimologista Otorino Pianigiani spiega che probabilmente il termine mimosa deriva da mimo perché la più nota di queste piante, la mimosa pudica, ha la caratteristica di contrarsi una volta toccata, come se fosse dotata di sentimenti, come se imitasse - e mimesis significa appunto imitazione - la capacità degli esseri umani di sentire.
Oggi la mimosa è il fiore della nostra ipocrisia. Tornando a casa dal lavoro ne compriamo un mazzetto dall'ambulante che di solito vende i fazzoletti o da quello che ci vuole lavare i vetri dell'auto - e che l'8 marzo si convertono in improvvisati venditori di questi fiori gialli. Oppure, se siamo proprio taccagni, ne abbiamo preso di nascosto un mazzetto al lavoro, tanto qualcuno rimane sempre dal pacco che la direzione manda per le nostre colleghe. Oppure ce l'hanno dato al supermercato, dove ci siamo fermati a comprare i surgelati, perché l'8 marzo cuciniamo noi, visto che le donne escono tra di loro. E così la povera mimosa movimenta questa economia di sussistenza, per ristoratori, cantanti di pianobar, ambulanti, venditori di surgelati, puttane magari, perché visto che le donne faranno molto tardi... Tanto le puttane non festeggiano l'8 marzo, e comunque possiamo portare anche a loro un mazzetto di mimose. Non ci costa nulla. E poi domani è già il 9 marzo.
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