venerdì 8 giugno 2018

Verba volant (530): riconoscersi...

Riconoscersi, v. intr.

Sappiamo che nessuno sapeva suonare la lira come Orfeo: Apollo gli aveva donato quello strumento e le Muse gli avevano insegnato a usarlo. Sappiamo che la sua musica era in grado di ammansire le belve più feroci e che perfino gli oggetti inanimati si potevano muovere per seguire quelle note. Sappiamo che nessuno sapeva cantare come Orfeo, ma non sappiamo cosa cantasse e non lo sapremo mai: noi esseri umani dobbiamo accettare che ci sono tante cose che non conosceremo mai.
Orfeo amava, riamato, Euridice e quando la sua sposa morì, per il morso di un serpente, il poeta ebbe la forza - o l'incoscienza, direbbe qualcuno - di scendere negli inferi per chiedere che Euridice potesse tornare con lui, sulla terra. Ovidio racconta questa storia, facendoci assistere a una scena di stupita meraviglia: mentre Orfeo canta la sua supplica di fronte ad Ade e a Persefone, tutto si ferma: Tantalo smette di cercare di raccogliere l'acqua per placare la sua sete eterna, si ferma la ruota di Issione, perfino gli avvoltoi cessano di rodere il fegato di Tizio, e mentre le Furie si commuovono, Sisifo si siede sul suo macigno per ascoltare quell'inatteso concerto. Euridice può tornare sulla terra - Ade cede a quella supplica - ma Orfeo non può volgersi indietro durante il cammino, dovrà condurre fuori dagli inferi la sua sposa senza guardarla. E' buio tutt'intorno, il cammino è malcerto, ma Orfeo precede Euridice accompagnandola con il suo canto: non sappiamo neppure in questo caso cosa cantasse, immagino un canto di gioia. Ma Orfeo, quando sta quasi per raggiungere l'uscita degli inferi fa quello che non avrebbe dovuto fare: si volge indietro e Euridice sparisce sotto i suoi occhi, per tornare definitivamente nel regno dei morti.
Perché Orfeo si è voltato? è una domanda che ci tormenta ogni volta che sentiamo questa storia. Il poeta che era stato capace di fermare gli inferi, di ottenere la vita dal dio della morte, fa una cosa talmente stupida. Non può essere curiosità, come racconta qualcuno, e neppure timore di vedere come fosse diventata la sua amata dopo essere stata nel regno dei morti: il suo amore doveva essere più forte di così. Gesualdo Bufalino pensa che abbia fatto apposta, e nel suo racconto Euridice capisce che è così: a Orfeo importava solo dimostrare di essere il più grande dei poeti. Io credo invece che Orfeo volesse davvero avere ancora un po' di tempo per poter stare con Euridice, che volesse portarla davvero sulla terra, ma in quel momento si è trovato di fronte ai suoi limiti, l'uomo capace di far tutto con il proprio canto, ha pensato che forse non era riuscito a guidare la propria sposa, che non era stato capace di condurla fin lì. Orfeo, forse per la prima volta nella sua vita, si è trovato di fronte ai propri limiti umani e li ha riconosciuti. Orfeo era un mortale, ma anche figlio di una divinità, la musa Calliope, e quindi nipote di Zeus, Orfeo, come Achille, come tanti altri eroi del mito, sta in mezzo tra cielo e terra; ma c'è un momento in cui devi scegliere, o la vita sceglie per te. La storia di Orfeo ci racconta questo, che c'è sempre un momento in cui abbiamo paura di non farcela, di essere inadeguati, ma che questa è la condizione umana, e che dobbiamo accettarla, accentando i nostri limiti.
E se fosse stata Euridice stessa a chiedergli di girarsi? Amava a tal punto Orfeo da volergli mostrare i suoi limiti, da farlo diventare un uomo. Non sapremo mai cosa i due sposi si siano detti in quel breve tratto di cammino che hanno fatto insieme quel giorno, forse per una volta Orfeo ha smesso di cantare, e ha avuto la capacità di ascoltare Euridice che aveva capito che quel viaggio negli inferi era inutile, perché la morte è un destino a cui non possiamo sfuggire e che lei avrebbe continuato a vivere nei versi di Orfeo. In quel breve cammino Orfeo ed Euridice si sono amati come non si erano mai amati prima, si sono riconosciuti come due esseri umani in cammino.

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