Crollo, sost. m.
Se un ponte autostradale crolla non è una disgrazia, ma un omicidio.
Quando vi chiedete cosa sia la guerra di classe - e se venga ancora combattuta - pensate a quello che è successo il 14 agosto a Genova.
Quel ponte non è crollato per la pioggia o per un fulmine o per qualche altra imprevedibile fatalità, ma perché ai padroni delle autostrade interessa soltanto incassare i sempre più cari pedaggi che tutti noi sfruttati paghiamo loro e non vogliono spendere nulla per la manutenzione - per inciso di qualcosa che è stato costruito con i soldi pubblici e di cui ora loro godono i frutti. La privatizzazione delle autostrade è stata un'operazione di redistribuzione della ricchezza: è stato tolto qualcosa ai poveri per darlo ai ricchi. E se poi i poveri, gli sfruttati, rimangono sotto le macerie di un ponte crollato, peggio per loro. Se vi chiedete ancora perché sia morta la sinistra in Italia, voglio ricordarvi che noi quando eravamo al governo abbiamo venduto le autostrade. Ecco di quel provvedimento tanti di noi - io allora ero funzionario del partito del presidente del consiglio - sono responsabili e oggi tutti noi abbiamo sulla coscienza i morti di Genova. Anche un po' di noi è sotto quelle macerie.
Non so se tra qualche anno ascolteremo le intercettazioni, ma certamente qualcuno in queste sere ha stappato le bottiglie di champagne: c'è un ponte da fare ex novo e ci sono le macerie del vecchio da rimuovere. Tutto in fretta, tutto senza fare gare d'appalto, tutto senza alcun vincolo e controllo. È un'emergenza, baby. Quello di cui prospera il capitalismo di rapina di questo sfortunato paese.
Sembra che adesso molti, perfino a destra, dicano che le autostrade non vengano più concesse ai privati. Anche se tra qualche settimane, quando il campionato di calcio sarà entrato nel vivo e sarà cominciata anche la Champions, di questo non si parlerà più.
Poi leggo anche i commenti di quelli - con alcuni ho perfino militato nello stesso partito - che, per autentica convinzione liberal-liberista o per dare contro al governo che li ha mandati all'opposizione e in qualche caso costretti a lavorare, difendono i padroni delle autostrade, perché bisogna aspettare la giustizia - come se la giustizia in Italia fosse una cosa giusta e non un potere in mezzo ad altri poteri - perché non bisogna spaventare i mercati e tutta la retorica liberista con cui abbiamo infarcito per vent'anni le nostre pratiche di governo. Questi di ora non sono Lenin - e non vogliono esserlo - sono, nella migliore delle ipotesi, dei furbastri che lucrano sulle emozioni e sulle paure delle persone o, nella peggiore, vogliono sostituire i padroni amici del vecchio regime con i padroni amici loro.
Io certamente non voglio difendere i Benetton, che meritano la gogna mediatica a cui sono sottoposti: sono padroni, si sono approfittati dei beni pubblici al massimo, hanno lucrato alle spalle dei lavoratori, di noi utenti delle autostrade, della collettività. Sono i mandanti degli omicidi di Genova. Non meritano la nostra comprensione e la nostra pietà. Ed è giusto colpirli nell'unica cosa che fa loro davvero male: togliendo loro denaro.
Naturalmente io credo che sia meglio che le autostrade - come tutte le altre reti infrastrutturali - ritornino a essere pubbliche: smetteranno così di ingrassare i profitti dei padroni a cui le abbiamo svendute. Ma ovviamente questo non basta, perché se lo stato continuerà a gestirle nello stesso modo, ossia comportandosi come un padrone, cercando di massimizzare i profitti a danno della sicurezza, dei diritti dei lavoratori e dei consumatori, allora i ponti continueranno a crollare sulle teste dei poveri. Il problema che ci pone la vicenda di Genova è che il capitalismo è il nostro unico metro di giudizio e che fin che sarà così noi continueremo a stare sotto le macerie.
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