martedì 6 novembre 2018

Verba volant (587): profezia...

Profezia, sost. f.

Quest'anno gli organizzatori del Festival Verdi di Parma hanno voluto mettere in scena il Macbeth, un'opera tra le meno note del Maestro di Busseto che, dopo essere stata rappresentata, con la direzione dello stesso Verdi, a Firenze nel 1847, è stata dimenticata fino a una storica messa in scena alla Scala del '52, con la Callas nel ruolo di Lady Macbeth. L'opera, su libretto di Francesco Maria Piave, è molto fedele alla tragedia di Shakespeare, la sua più breve e una delle più rappresentate.
E' utile riflettere su Macbeth, perché questa tragedia non parla solo della brama per il potere, ma affronta un tema che in qualche modo riguarda tutti noi.
L'inizio della tragedia è notissimo: tre donne appaiono ai generali scozzesi Macbeth e Banco, che stanno tornando dopo una battaglia in cui hanno valorosamente combattuto alla testa delle loro truppe e sconfitto i nemici del re Duncan. E le tre streghe fanno a entrambi una profezia: annunciano a Macbeth che sarà re e a Banco che sarà padre di re. Quella profezia è come la scintilla che fa scoppiare l'ambizione di Macbeth: decide di uccidere Duncan, che sarà ospite nel suo castello, per prenderne il posto.
Ma se le streghe non fossero apparse a Macbeth, egli avrebbe comunque ucciso Duncan? Avrebbe comunque commesso tanti atroci delitti pur di diventare re? Sarebbe diventato re? E' uno strano gioco quello delle streghe: per essere certe che la loro profezia si compirà, diventano loro stesse protagoniste della storia e in qualche modo fanno in modo di determinarne l'esito. Macbeth è in qualche maniera predestinato al male? Se così fosse, se ci fosse un potere capace di determinare le nostre vite, non saremmo colpevoli di quello che facciamo. Quanto noi uomini siamo davvero liberi? Mi sembra questa la domanda che ci pone Shakespeare.
Sarebbe comodo pensare che il nostro destino è già scritto. Eppure, nonostante l'apparizione delle streghe, certamente Macbeth poteva non uccidere Duncan; e forse non lo avrebbe fatto se Lady Macbeth non fosse intervenuta ad armare la mano del marito. Anche su questo si apre un'altra parentesi interessante: Shakespeare non dà un nome a Lady Macbeth, che tutti nel dramma chiamano appunto così. Macbeth e sua moglie sono davvero due persone distinte o siamo noi uomini, nella nostra contraddittorietà a essere molte cose contemporaneamente? Noi siamo liberi, ci dicono Shakespeare e Verdi, e di questa libertà spesso abusiamo.
Nel programma del Festival c'è stata una bella serata dedicata proprio al dramma scespiriano: Sergio Rubini ha ridotto la tragedia a una sorta di monologo. Ascoltate in questo modo, recitate da un unico attore, le battute della tragedia, in un alternarsi di voci, ho avuto l'impressione che in fondo Shakespeare abbia messo in scena un solo personaggio, al cui interno si agita un conflitto. Ciascuno di noi è a un tempo Macbeth e Lady Macbeth, l'ambizione senza coraggio e la determinazione che non conosce scoramento, a un tempo Macbeth e Banco, la forza malvagia dell'uomo votato al male e il rigore dell'uomo retto, capace anche di sfidare le streghe, il Macbeth codardo e impaurito di fronte alle streghe e quello tornato coraggioso quando sa che il suo destino è segnato, e forse noi siamo anche le streghe, siamo noi che creiamo le tentazioni in cui fatalmente, ma non inesorabilmente, cadremo. 
Uno dei passi più famosi del dramma è il monologo di Macbeth del terzo atto, che comincia con una sorta di invocazione: tomorrow, and tomorrow, and tomorrow. E' una riflessione sulla vanità della vita. Rubini ha voluto chiudere il suo monologo con questi versi, che non chiudono il dramma, ma che ne rappresentano indubbiamente un punto focale.
Life's but a walking shadow, a poor player,
that struts and frets his hour upon the stage,
and then is heard no more. It is a tale
told by an idiot, full of sound and fury,
signifying nothing.
La vita è solo un’ombra che cammina: / un povero istrione, / che si dimena, e va pavoneggiandosi / sulla scena del mondo, un’ora sola: / e poi non s’ode più. / Favola raccontata da un’idiota, / tutta piena di strepito e furore, / che non vuol dir niente.
E' l'attore che ha concluso il suo racconto, ma siamo anche noi, tutti noi, che ci illudiamo che la nostra vita sia così importante, che le cose che facciamo, che diciamo, che scriviamo, siano così memorabili e che invece saranno spazzate vie, tutte, con un alito di vento.

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