Presenza, sost. f.
Carlo è morto. Lo so, voi non lo avete conosciuto. Non l'ho conosciuto neppure io, anche se la sua morte mi ha profondamente scosso. A dire la verità nessuno di tutti quelli che hanno pianto per la sua morte lo ha davvero conosciuto. Perché non ne abbiamo avuto il tempo. Neanche i suoi genitori lo hanno avuto. Appena quello per imparare i suoi sorrisi e il suo pianto, e poco più. Perché Carlo è vissuto solo quattro mesi e poi è morto improvvisamente, come talvolta succede, in maniera inspiegabile, lasciando noi qui, con il nostro dolore e le nostre domande.
Per non usare una parola che ci fa paura, quando una persona muore, noi preferiamo dire che se n'è andata, che ci ha lasciato. Lo abbiamo detto anche di Carlo. Apparentemente sembra un modo per rendere meno traumatica la perdita, per attenuarne il dramma. Naturalmente non funziona. E poi, a ben pensarci, rende ancora più crudo il dolore, accentua una ferita, rimarca una distanza.
Dovremmo invece pensare a Carlo come a qualcuno che non se n'è andato, che non ci ha lasciato. Io, con tutto l'affetto che provo per loro, vorrei augurare alla madre e al padre di Carlo di sentirlo presente per il resto della loro vita, nelle piccole e nelle grandi cose, nelle scelte importanti e nelle minuzie quotidiane. Questa presenza non deve essere un'ossessione, ma qualcosa che farà sempre parte delle loro vite.
Io - ormai lo sapete - non credo. E quindi non credo che Carlo sia un angelo che veglierà su di loro, non è questa la presenza a cui penso. Ma credo fermamente che esista l'amore e l'amore è qualcosa che rimane, se vogliamo rimanga, se sappiamo custodirlo e coltivarlo. L'amore per Carlo è quello che rimane. So bene che non è tutto quello che questi amici potevano legittimamente sperare: loro volevano conoscere Carlo. E questo è qualcosa che non accadrà più. Ma l'amore è una pianta rigogliosa, che si porta dietro molti frutti. E molte speranze.
Nessun commento:
Posta un commento