sabato 20 maggio 2023

Verba volant (836): pianoforte...

Pianoforte
, sost. m.

Come succede spesso alle grandi storie americane, anche quella che vi sto per raccontare comincia nella vecchia Europa, esattamente in un’imprecisata città del Regno di Sassonia, al tempo di Federico Augusto II, il re costretto alla fuga nell’effimera “rivoluzione di maggio”, sulle cui barricate hanno combattuto fianco a fianco Wagner e Bakunin. Ma non divaghiamo.
Non sappiamo di preciso né dove né quando sia nato Julius Weiss. Né perché, intorno ai trent’anni, abbia deciso di andare negli Stati Uniti. Certo non era facile la condizione degli ebrei nell’Europa centrale alla metà dell’Ottocento, a meno che non fossero molto ricchi, ma immaginiamo che nel caso di Julius ci siano state anche altre ragioni per abbandonare il più in fretta possibile il suo paese, lasciandosi alle spalle un oceano.
Julius ha trent’anni quando arriva ad Ellis Island, ma preferisce non rimanere in quella grande città. Si trasferisce nella piccola Port Jarvis, nello Stato di New York, diventata un fiorente centro commerciale grazie all’apertura, nel 1828, del canale Delaware e Hudson, che serviva a trasportare il carbone estratto nella Pennsylvania nord-orientale fino al porto di New York. Julius a Dresda è andato all’università e quindi in America fa l’insegnante, poi conosce la musica e quindi dirige il coro della piccola comunità tedesca della città. Nel 1877 deve lasciare velocemente anche Port Jarvis a causa di diversi debiti che non riesce a pagare. Si trasferisce allora in una cittadina di cinquemila abitanti nel Texas, Texarkana. Si tratta di una città fondata nel 1874 dai proprietari della ferrovia che collega il Texas e l’Arkansas, esattamente dove c'è il lungo e diritto confine che separa i due stati: a ovest c’è la Texarkana del Texas e a est la Texarkana dell’Arkansas.
Julius si stabilisce nella prima, confidando che i suoi creditori non arrivino fino a lì. Un ricco proprietario terriero, attivo nell’industria del legname, Robert W. Rodgers, assume Weiss per insegnare ai propri figli il tedesco, la matematica, le materie scientifiche e a suonare il violino. Il precettore arrivato dalla Germania si fa presto un nome e altre ricche famiglie della cittadina mandano i figli a studiare musica da lui, tanto che all’archivio comunale si fa registrare come “professore di musica”.
Ma c’è un’altra cosa che divide gli abitanti di Texarkana, ben più drammatica del confine, lungo e diritto, tra Texas e Arkansas. Bianchi e neri devono vivere in due mondi rigorosamente separati. Naturalmente i neri possono andare a servizio nelle case dei bianchi, ma devono rimanere al loro posto. Julius è un bianco che ama frequentare i locali dove i neri passano il loro tempo libero. Certo è guardato male, ma è il professore di musica, un’artista, e quindi viene in qualche modo tollerato. Gli uomini di colore che osservano quel bianco con sospetto non immaginano che Julius ha già dovuto sopportare quegli sguardi pieni di odio, nella sua patria.
In una di queste serate Julius ascolta un ragazzino che suona il piano dimostrando un incredibile talento. Finita l’esibizione, gli chiede quanti anni abbia e dove abbia imparato a suonare così. Gli risponde che ha dodici anni, che suo padre suona il violino e sua madre il banjo e che loro gli hanno insegnato quello che sanno. Poi sua madre lo porta nelle case dei signori dove fa le pulizie e, se non c’è nessuno, gli permette di suonare il piano. Julius scopre che quel ragazzo ha imparato da solo, praticamente da autodidatta. Si offre di dargli lezioni private, ma Florence deve rifiutare: il marito se n’è andato con un’altra donna, lasciandola sola con sei figli. Non può certo spendere soldi per lezioni private di pianoforte. Julius però le dice che quelle lezioni saranno gratuite. Per cinque anni Julius insegna musica a quel ragazzo nero, lo fa esercitare al pianoforte, gli fa ascoltare la musica dei grandi compositori europei, gli spiega cos’è l’opera. Dà anche a Florence i soldi per acquistare un vecchio pianoforte, in modo che il suo allievo possa esercitarsi anche a casa. Il ragazzo vuole bene a quello strano professore che sa tutte quelle storie sulla musica, che gli insegna a suonarla e ad amarla.
È grazie alle lezioni di Julius Weiss che quel ragazzino diventa Scott Joplin.

Sono passati venticinque anni. Scott Joplin vive da qualche mese a New York, insieme alla sua terza moglie, Lotti Stokes. Maple Leaf Rag e i molti altri brani che ha composto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento gli hanno procurato fama a livello nazionale e una certa sicurezza economica. Sono lontani gli anni in cui Scott suonava il piano nei bordelli tra Sedalia e Saint Louis, sviluppando quel suo stile così caratteristico. Ormai ha fatto conoscere il ragtime, la nuova musica dei neri, a tutta l’America, grazie soprattutto all’Esposizione Universale di Chicago del 1893. Gli organizzatori di quello storico evento non hanno coinvolto gli artisti afroamericani, ma i ventisette milioni di visitatori che hanno accalcato la fiera nella “città del vento” non si limitano a frequentare le manifestazioni ufficiali. Riempiono i saloon, i caffè e le case di appuntamento della città e in tutti questi posti si suona questa musica, nuova, sincopata, la musica che annuncia il nuovo secolo e così Scott Joplin diventa l’indiscusso “Re del Ragtime”.
Però a Scott non basta. Ricorda bene cosa gli ha insegnato il professor Weiss, ossia che con la musica si possono raccontare delle storie. Anche lui vuole scrivere un’opera, come hanno fatto Mozart, Rossini, Verdi e Wagner.
Scott ci ha già provato. Nel 1903 ha scritto musica e libretto di A Guest of Honor, un’opera in due atti, in cui ha raccontato gli eventi che hanno preceduto la cena che il presidente Theodore Roosevelt ha organizzato per l’educatore e leader dei diritti civili Booker T. Washington, la prima volta che un leader afroamericano viene invitato alla Casa Bianca. Scott, grazie ai proventi dei suoi pezzi di ragtime, ha anche messo in piedi la compagnia per rappresentarla e organizzato una tournée nella principali città americane. In una di queste, a Springfield o a Pittsburg, qualcuno ruba a Scott gli incassi dei biglietti e lui non riesce più a pagare né i salari degli artisti né i conti degli alberghi dove alloggiano. È un fallimento: gli viene perfino confiscato lo spartito dell’opera, che oggi è ormai perduto.
Nonostante questa drammatica battuta d’arresto il musicista non si dà per vinto: il suo obiettivo è scrivere la prima opera della musica nera americana. Per questo si trasferisce a New York, perché pensa che in quella città troverà un ambiente più favorevole per produrre il suo nuovo lavoro, intitolato Treemonisha. Ma rimane, ancora una volta, deluso: nessun produttore vuole metterla in scena, nonostante l’ottima recensione apparsa nel numero di giugno del 1911 dell’American Musician and Art Journal, a cui Scott ha inviato la partitura per canto e pianoforte.
Treemonisha rappresenta una novità sia per la musica che per il libretto. Anche se viene talvolta definita come la prima “opera ragtime”, Joplin usa questo stile musicale solo in alcune scene di ballo. La struttura è piuttosto classica, ci sono un’ouverture e un preludio, si alternano arie e recitativi, con brani d’insieme e cori. Ma la musica è quella della tradizione nera che Scott ha conosciuto così bene nel corso della sua giovinezza. Ci sono echi degli spirituals e dei canti eseguiti nelle congregazioni. C’è quello che sarà il blues e il jazz. Treemonisha racconta con la sua vitalità e la sua forza la musica che sta per nascere in quel paese.
La protagonista dell’opera è Treemonisha, una giovane ex-schiava che ha avuto l’opportunità di imparare a leggere e scrivere grazie a una donna bianca che l’ha accolta nella sua casa e le ha insegnato il valore della cultura. E per questo è facile immaginare che Scott abbia pensato a Julius Weiss e a quanto quell’uomo abbia rappresentato per lui. Per questo la ragazza si batte contro gli evocatori di spiriti, che, sfruttando l’ignoranza e la superstizione, riescono a tenere soggiogata la sua comunità. I “cattivi” nell’opera di Joplin sono anch’essi neri che, rendendosi conto del pericolo rappresentato da Treemonisha, la rapiscono e cercano di ucciderla. Alla fine lei si salva e la sua comunità, che prima l’ha trattata con sufficienza, si rende conto del valore dell’educazione e sceglie Treemonisha come insegnante e propria leader. Con questa opera Scott Joplin vuole dire ai neri americani che solo attraverso lo studio saranno davvero liberi.
L’impossibilità di mettere in scena Treemonisha getta nello sconforto Scott. Nel 1915 lui stesso organizza un’esibizione in forma di concerto dell’opera al Lincoln Theatre di Harlem, la prima sala che accoglie spettacoli dei neri in un quartiere in cui la popolazione è ancora prevalentemente bianca, anche se la composizione sociale sta rapidamente cambiando. Paga di tasca sua la compagnia di canto, che lui accompagna al pianoforte al posto dell’orchestra. Le reazioni a questa esibizione non sono particolarmente lusinghiere. La delusione aggrava le sue condizioni di salute. Il suo fisico è minato da una grave forma di neurosifilide. All’inizio di febbraio del 1917 viene ricoverato in un istituto psichiatrico, il Manhattan State Hospital, dove muore il 1 aprile per demenza sifilitica, all’età di 48 anni. Il “Re del ragtime” viene sepolto in una tomba anonima destinata ai poveri nel cimitero di St. Micheal a East Elmhurst nel Queens. Solo nel 1974 la tomba viene ritrovata e vi viene posta una lapide. È l’anno in cui la sua musica ottiene un Oscar per la colonna sonora del film La stangata, che fa conoscere a una nuova generazione quel ritmo incredibile.
Sono gli anni in cui finalmente viene ritrovata la partitura di Treemonisha che si credeva perduta e che nessuno, dopo quella sfortunata esibizione del 1915 ha potuto ascoltare. Il 22 ottobre 1971 estratti dell’opera vengono eseguiti in forma di concerto alla New York Public Library for the Performing Arts da William Bolcon, Joshua Rifkin e Mary Lou Williams. Finalmente il 27 gennaio 1972 va in scena ad Atlanta con la regia della ballerina e coreografa afroamericana Katherine Dunham e la direzione di Robert Shaw, uno dei primi grandi direttori d’orchestra a volere sia bianchi che neri nelle proprie compagini. È finalmente un successo e per quest’opera a Scott Joplin nel 1976 viene assegnato il Premio Pulitzer.

E che ne è stato di Julius Weiss? Le notizie sull’ultima parte della sua vita sono frammentarie. Sappiamo che a Texarkana, dopo aver finito la sua attività di precettore, Weiss gestisce una gioielleria e un banco di pegni. Un’attività redditizia, tanto che diventa presidente della Texarkana Savings Bank e azionista di rilievo di un’importante azienda di legname. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Nel 1889 fugge dalla città con trentamila dollari. Lo ritroviamo a Houston dove apre un banco di pegni e riprende la sua attività di insegnante di musica. Senza troppo fortuna. Vive quegli ultimi anni della vita malato e in miseria. Nessuno sa quanto sia stato importante per la musica americana. Scott non si dimentica di lui e, pur tra le sue difficoltà, gli invia ogni tanto del denaro. Non sappiamo nulla della sua morte.

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