Nel corso del 2010 si dovrebbero svolgere le elezioni in Birmania: la giunta militare, che dal 1988 esercita un potere dittatoriale su quel paese di quasi 50 milioni di abitanti, tenta in questo modo di alleggerire la pressione della comunità internazionale - e in particolare degli Stati Uniti - che richiede da anni il ripristino dei diritti civili e politici. Non è però una buona notizia per i birmani.
Le elezioni non sono state ancora fissate ufficialmente, ma la giunta militare in questi giorni ha dato notizia delle leggi che regoleranno il voto. Bisogna ricordare prima di tutto che la costituzione voluta dagli stessi militari prevede che il 25% dei seggi del nuovo parlamento sia assegnato a membri dell'esercito, che sceglieranno anche chi dovrà gestire alcuni dipartimenti del futuro governo, quale che sia l'esito del voto. In questi giorni è stata definita la composizione della commissione elettorale: è un organo, composto da cinque personalità "eminenti e fedeli allo Stato" - quindi militari - che avranno il potere di decidere, senza possibilita' di appello, la delimitazione delle circoscrizioni elettorali e soprattutto potranno annullare il voto in quelle dove, a loro giudizio, si registreranno delle irregolarità o dove il voto non dovesse essere favorevole alla giunta.
Poi è stato deciso che coloro che sono stati riconosciuti colpevoli da una corte birmana e stanno scontando una pena, qualsiasi sia il reato, non potranno essere candidati; anzi non potranno neppure essere iscritti a un partito, pena la inammissibilità di quello stesso partito al voto. Si tratta chiaramente di una legge contro Aung San Suu Kyi e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), che nelle uniche elezioni libere in quel paese, svolte nel 1990 e mai ratificate dalla giunta, ottenne l'80% dei seggi al parlamento. In pratica la Nld per poter partecipare alle elezioni dovrebbe espellere Aung San Suu Kyi, che è stata in carcere per 14 degli ultimi 20 anni, è attualmente agli arresti domiciliari e deve scontare la sua pena fino al prossimo novembre. La giunta ha concesso 60 giorni ai partiti per iscriversi alle liste elettorali ed è probabile che il voto avvenga subito dopo, forse a giugno, per limitare al massimo la campagna elettorale. Probabilmente sia la Nld che altre formazioni minori di carattere etnico non parteciperanno alle elezioni, boiccotando il voto.
In questi mesi, nonostante il tentativo di ingraziarsi la comunità internazionale il regime birmano ha inasprito il suo controllo sul paese. Ha tentato di trovare un accordo con le milizie etniche che controllano alcune zone del nord est del paese, obbligando le stesse milizie a diventare guardie di confine sotto il controllo delle forze armate; in poche hanno accettato. E così nell'agosto dell'anno scorso l'esercito ha duramente attaccato le milizie Kokang e si prepara ora all'offensiva contro le milizie Wa e Kachin.
Intanto i militari continuano a fare affari, nonostante le sanzioni statunitensi, grazie ai buoni rapporti con la Cina e con altri paesi asiatici.
E' di pochi giorni fa la notizia che due importanti aziende della Corea del sud, la Hyundai Heavy Industries e la Daewoo, hanno sottoscritto un accordo da 1,4 miliardi di dollari per lo sviluppo di un enorme giacimento di gas naturale al largo della costa birmana: un affare a cui partecipano anche due compagnie indiane. Tra due-tre anni, quando il gasdotto sarà completato, 15 milioni di metri cubi di gas al giorno per circa 25-30 anni arriveranno in Cina, consentendo al regime birmano di intascare circa un miliardo di dollari all'anno. E sempre in Cina arriverà il petrolio dal Medio Oriente attraverso un grande oleodotto in costruzione, permettendo di evitare le migliaia di chilometri necessari per circumnavigare l'Asia sud-orientale. La Thailandia prevede la costruzione in Birmania di una diga e di una centrale idroelettrica per importare nuova energia elettrica e l'India ha in progetto la costruzione di un gasdotto che la colleghi con la Birmania. Evidentemente per tutti questi paesi pecunia non olet. Naturalmente ciascuna di queste grandi opere si porta dietro sgomberi senza risarcimenti, lavori forzati, violenze contro la popolazione, incalcolabili danni ambientali.
Nonostante queste grandi ricchezze naturali, la Birmania è uno dei paesi più poveri del mondo, al 162° posto nella lista redatta dal Fondo monetario internazionale sul Pil. In queste settimane, nonostante l'esito delle elezioni sia scontato, i generali stanno comunque cercando di far rendere al massimo la propria posizione di potere: hanno avviato un piano di privatizzazioni e, come ho detto, continuano ad arricchirsi con il gas naturale, lucrando, come hanno fatto in passato, con il cambio fasullo della valuta nazionale. Ufficialmente un dollaro vale circa 6 kyat, ma al mercato nero un dollaro vale almeno 1.000 kyat: una differenza che la giunta usa per mettere minori introiti a bilancio, utilizzando il resto per gonfiare i propri conti bancari a Singapore.
Non dimentichiamoci della Birmania e della lotta di Aung San Suu Kyi.
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