Probabilmente io continuo a essere il solito inguaribile pessimista, eppure mi sembra che qui in Italia si stia sottovalutando quello che sta avvenendo in questi giorni in Grecia. Certo ieri sera i telegiornali hanno aperto sugli scontri di Atene e hanno dato la notizia delle tre persone uccise da una frangia, per fortuna molto minoritaria, dei manifestanti, ma non c'è stato alcun approfondimento; d'altra parte i morti fanno sempre notizia e probabilmente a qualcuno ha fatto anche piacere poter far "retrocedere" a seconda notizia il coinvolgimento di Denis Verdini nell'ennesimo scandalo che ha investito la maggioranza di governo. Anche sui giornali mi pare ci si concentri più sulla cronaca degli scontri che sui motivi che li hanno causati.
Comunque sia della Grecia, a mio avviso, non si parla abbastanza. Eppure dovremmo farlo, perché le analogie tra la Grecia e l'Italia sono purtroppo molte. In entrambi i paesi c'è un'economia fragile, un alto debito pubblico, elevati tassi di disoccupazione, specialmente tra i giovani; in entrambi i paesi cresce tra i giovani la consapevolezza che loro vivranno peggio dei loro genitori. In entrambi i paesi c'è una diffusa corruzione sociale, un pericoloso allentamento, a tutti i livelli, dei vincoli etici tra le persone. In entrambi i paesi c'è una forte sfiducia verso le istituzioni e verso la classe politica, che peraltro in entrambi i paesi merita ampiamente questa sfiducia. Probabilmente non fa piacere cogliere queste analogie e magari preferiremmo confrontarci con le regioni più ricche e più avanzate dell'Europa, ma dobbiamo renderci conto che nel resto del mondo guardano al nostro paese con la stessa preoccupazione con cui guardano ad altri paesi in difficoltà, come il Portogallo, la Spagna, l'Irlanda. E anche se probabilmente alcune regioni del nord Italia possono davvero competere con le più ricche regioni europee, questo non cambia in maniera sostanziale il quadro dello sviluppo del nostro paese. In Italia credo ci sia la stessa tensione sociale che c'è in questi giorni in Grecia e temo che questa tensione sia pronta a esplodere, magari per l'interesse di qualcuno, come è accaduto nelle settimane scorse a Rosarno, dove per l'ndrangheta è stato piuttosto semplice far scoppiare una sorta di rivolta contro gli immigrati, per difendere i propri interessi e lanciare un messaggio trasversale alle istituzioni. Mi sembra che troppi sottovalutino questi campanelli d'allarme.
I motivi per cui la Grecia sta rischiando di "fallire" sono piuttosto semplici: sono stati "aggiustati" i bilanci per farli apparire migliori di quanto effettivamente fossero, ci si è indebitati per sostenere il piano di opere pubbliche e di infrastrutture necessarie a ospitare i giochi olimpici del 2004, non si è intervenuti per combattere con coraggio la corruzione e l'inefficenza della pubblica amministrazione. Anche qui le analogie tra i nostri paesi sono piuttosto evidenti. Ora il governo greco, incalzato dall'Europa e dalle istituzioni internazionali, chiede sacrifici, ma - credo giustamente - i cittadini greci vogliono che siano individuati i colpevoli di questa situazione e soprattutto chiedono che questi sacrifici non ricadano unicamente sulle fasce più deboli della popolazione, lasciando ai molto ricchi e ai molto furbi quello che hanno accumulato in questi anni.
Personalmente credo che la questione centrale non sia tanto quella delle responsabilità. Come ho già avuto modo di scrivere a proposito del nostro paese, in una democrazia la classe politica è lo specchio della società: se la classe politica è inefficiente e corrotta, non è che la società civile sia esente da ogni vizio, tutt'altro. I tanti greci impiegati nelle amministrazioni pubbliche hanno approfittato del loro ruolo, dei loro piccoli o grandi privilegi, di un sistema che garantiva - e garantisce - loro di poter far poco nel miglior dei casi e di potersene approfittare nei casi peggiori. Come vedete, anche qui torna l'analogia con il sistema italiano. Credo che nella società, prima ancora che nella politica, debba aprirsi una riflessione su quello che si è permesso che succedesse. E francamente spero che un'analoga riflessione possa cominciare anche in Italia, una riflessione che dovrebbe iniziare grazie al contributo degli scrittori, dei registi, degli intellettuali.
Sul tema della ridistribuzione dei sacrifici credo invece che si misurerà la capacità del governo di Atene di imboccare una strada diversa e si misurerà anche la capacità della sinistra, visto che a capo di quel paese c'è uno dei pochi esponenti del Pse che ancora ha responsabilità di governo. Capisco la preoccupazione dei sindacati e dei lavoratori greci: le ricette per il cosiddetto risanamento sono imposte al loro paese da quelle istituzioni internazionali, a partire dal Fondo monetario, che in questi anni si sono caratterizzate per un'adesione acritica al modello ultraliberista, che tanti danni ha fatto in molti paesi. In alcuni mie precedenti "considerazioni" ho raccontato cosa hanno significato i piani di risanamento dell'economia per paesi come Haiti o alcuni stati africani: l'ulteriore impoverimento della popolazione e il conseguente arricchimento di poche fortissime aziende multinazionali. E giustamente i greci non vogliono - e non possono - fidarsi neppure dei super-burocrati di Bruxelles, le cui ricette rischiano di ammazzare il cavallo.
Per questo credo che serva più politica e, almeno per come la vedo io, serve più politica di sinistra. Non credo che si debba lasciare questa enorme responsabilità sulle sole spalle di George Papandreou, mi piacerebbe sentire anche le idee degli altri socialisti e qui purtroppo le voci latitano. Per i socialisti europei sarebbe il tempo di essere meno tedeschi, meno francesi, meno inglesi e più europei, riscoprire quella dimensione internazionale che in fondo è un elemento costitutivo della nostra storia. Non ho dimenticato gli italiani, ma qui, come è noto, il maggior partito di ispirazione socialista ha scientemente deciso di tirarsi fuori da questa storia. Mi piacerebbe che i socialisti europei ripartissero da alcuni temi chiave, dagli impegni assunti con la cosiddetta strategia di Lisbona. Quel documento ha segnato un punto alto dell'ispirazione sociale dell'Europa e non credo sia un caso che sia stato assunto quando molti paesi erano governati da coalizioni di centrosinistra e da esponenti del Pse. Con altrettanta franchezza bisogna anche dire che proprio il non avere fatto nulla, o quasi nulla, per tradurre in pratica quegli ambiziosi obiettivi ha fatto sì che quella stagione sia sfumata e che oggi il quadro europeo sia molto diverso da dieci anni fa. Proprio oggi molto probabilmente si chiuderà in Gran Bretagna la lunga esperienza del governo laburista e anche i socialisti spagnoli sono destinati a passare la mano. Molto banalmente i socialisti europei hanno pagato questa incapacità di adeguare il dire al fare. Speriamo che non continui così.
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