Morte, sost. f.
Questa è una parola decisamente complicata, difficile da affrontare e da definire, anche perché è terribilmente difficile ragionare di questo tema.
Morte è una parola antica, che deriva dal latino mors e ha una radice mr che risale all'indoeuropeo e che si ritrova nel sanscrito e in molte altre lingue antiche.
Ho deciso di scrivere questa definizione perché Zaira mi ha segnalato e letto un articolo pubblicato su Time. E' utile leggere i giornali stranieri, scoprirete che c’è un mondo là fuori, oltre Letta, Grillo e Berlusconi.
L’articolo racconta la storia di due giovani donne degli Stati Uniti. Jahy aveva 13 anni ed è morta il 9 dicembre scorso in un ospedale della California, a causa di un’operazione, apparentemente banale, finita male. I suoi genitori hanno chiesto di non staccare le macchine di supporto alla vita, in attesa di un miracolo che non può succedere, perché dalla morte non si guarisce; un giudice ha dato ragione ai genitori di Jahy e ha ordinato ai medici di non sospendere ventilazione e alimentazione, almeno fino al 7 gennaio. Marlese è morta il 26 novembre scorso in un ospedale del Texas. Il marito e i suoi familiari hanno chiesto che le macchine siano staccate, ma i medici non lo possono fare, perché le leggi di quello stato impediscono di sospendere i trattamenti di supporto alla vita a una donna incinta; e Marlese era alla quattordicesima settimana di gravidanza.
Questi due casi sono nati anche perché c’è stata una confusione nell’uso delle parole, e per questo me ne voglio occupare qui.
I medici, sia per Jahy che per Marlese, hanno dichiarato la morte cerebrale. Morte è una parola a cui è sconsigliabile aggiungere aggettivi. A volte sono solo un eufemismo per rendere meno doloroso il ricordo di chi rimane: ha fatto una morte serena. Oppure si dice che qualcuno ha fatto una bella morte per galvanizzare qualcun altro a emulare un atto di eroismo. L’aggettivo cerebrale rischia di dare una speranza a chi ci vuole bene, sembra suggerire che la morte non è proprio definitiva, che si tratta di una “quasi morte”.
Stessa confusione si può fare anche con il contrario di morte. Gli apparecchi di supporto alla vita nei casi di Jahy e di Marlese non possono essere definiti così. L’uso sbagliato delle parole crea false speranze e alimenta inutili polemiche.
La scienza ha fatto grandi passi in avanti, la medicina ha per fortuna allungato e migliorato le nostre vite, ma ha oggettivamente reso più complicato capire quando finisce la vita e comincia la morte. Però quel momento rimane e non può essere stabilito né da una sentenza di un tribunale né dalla pietà e dell’amore di chi ci vuole bene. E’ la natura che decide - per chi crede è Dio - ma è qualcosa che a noi uomini sfugge ed è un bene che continui a essere così.
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