domenica 3 maggio 2020

Verba volant (764): normalità...

Normalità, sost. f.

Quando torneremo alla normalità? Perfino uno che non legge i giornali come me sa che questa è la domanda che praticamente tutti si pongono in questi giorni, in maniera più o meno preoccupata, con toni più o meno polemici. Finanche apocalittici. Il 4 maggio? Il 18? Oppure il 1 giugno? O più avanti ancora?
Intanto dovremmo metterci d'accordo su cosa sia questa presunta normalità. Cenare al ristorante? Farsi tagliare i capelli? Andare a messa? Partire per le vacanze? Andare a scuola? Vedere uno spettacolo a teatro o recitare in uno spettacolo a teatro? Incominciare a lavorare? Forse ciascuno di noi ha una propria definizione di "normalità". Immagino che per qualcuno la normalità sia la ripresa del campionato di calcio e per qualcun altro poter tornare ad andare a puttane.
Personalmente l'unica cosa che mi è mancata veramente in questi giorni - e credo che mi mancherà per parecchio altro tempo - è stata quella di andare a teatro e al cinema. Per il resto mi sto godendo questi giorni a casa, senza vedere nessuno. Certo io sono fortunato, perché una casa in cui stare - insieme alla mia "congiunta" - ce l'ho e riesco pure a continuare a pagare le rate del mutuo, visto che ho anche un lavoro, che posso continuare a svolgere dal soggiorno. Perché ho anche un portatile, e un tablet, e un telefonino, e la connessione ad internet per farli funzionare. E quando non lavoro, esattamente come facevo prima, posso continuare a dedicarmi alle cose che mi piace fare, posso continuare a scrivere e a cucinare. Usavo già pochissimo il lievito prima della quarantena - non amo impastare - e quindi non ho particolarmente sofferto la penuria di questo ingrediente.
So bene che tante persone in queste settimane non hanno lavorato e non lavoreranno per un tempo ancora da definire, ma sinceramente credo che la nostra società abbia le risorse per aiutare i ristoratori, gli attori, i bagnini, i barbieri, e tutti gli altri che a differenza di noi stanno soffrendo. E, permettetemi un inciso, tutti loro non devono essere lasciati in balia al nostro buon cuore (che peraltro non esiste). Io posso rinunciare a richiedere al rimborso dell'abbonamento per gli spettacoli che non ho visto, ma non è di queste elemosine che si salverà il teatro. Occorre obbligare tutti noi a pagare le tasse per rendere possibile a tutti questi di ripartire. 
Io vorrei che riflettessimo tutti che per molti di noi questa normalità tanto agognata, quella di cui ci parlano continuamente gli spot pubblicitari, alla fine è una specie di lusso, un surplus appunto: il ristorante, la gita nel fine settimana, lo spettacolo a teatro. Sento qualcuno paragonare questa quarantena a una specie di domicilio coatto, tipo gli arresti domiciliari. Credo che occorra usare le parole con moderazione e con giudizio. Ripeto che per molti di noi, molti di noi che possiamo perdere tempo nei social, non c'è stata nessuna privazione della libertà. Semplicemente siamo prudenti e la paura di morire ci spinge a fare le stesse cose che facevamo prima in una maniera un po' diversa.
Poi c'è un mondo al di fuori dei social, per cui invece la normalità, sia che torni il 4 o il 18 o il 1 giugno, è qualcosa di non così invidiabile. C'è chi la casa non ce l'ha proprio e chi considera la casa un luogo in cui è continuamente in pericolo: è quello che succede a tante donne per cui la normalità è la violenza domestica. Ma loro, anche quando noi fortunati potremo uscire - magari per rinchiuderci in un centro commerciale - dovranno rimanere lì, perché non hanno la possibilità di fuggire. Poi c'è chi non ha un lavoro. O ha un lavoro malpagato, insicuro, precario, da cui non può fuggire. E chi non ha nemmeno un computer o l'accesso alla rete. Per molti dei nostri figli la normalità non è la scuola, reale o virtuale, ma la strada, assolutamente reale. Per molti dei nostri figli è assolutamente ininfluente sapere come si svolgerà quest'anno l'esame di maturità, perché hanno dovuto diventare maturi - e mature - molto in fretta. Troppo in fetta.
A sentire tutti questi che invocano la normalità, che hanno nostalgia di quello che c'era prima, sembra che vivessimo in un tempo idillico, in una sorta di eden, da cui questa peste ci ha strappato. Sveglia, il mondo non è quello della pubblicità. No, il mondo prima faceva schifo, per la maggioranza delle donne e degli uomini che vivono in questa pianeta, era un luogo di dolore, e quando tornerà la normalità torneranno esattamente le condizioni di prima, anzi sarà peggio di prima. Così come sarà normale tornare ai livelli di inquinamento di prima, tornare ad avere le acque dei fiumi e dei mari pieni di veleni e così via. Sarà normale essere sommersi dai rifiuti e tutte le cose "belle" che ci siamo lasciati dietro nel mondo prima della peste.
A noi andava bene prima e andrà bene dopo. Ma per tutti gli altri non è così. Perché mentre per pochi di noi la normalità sarà il "dramma" di dover portare la mascherina per alcuni mesi tutte le volte che usciremo di casa, per tutti gli altri il dramma sarà trovare fuori quel mondo che hanno lasciato, con tutte le sue ingiustizie e tutte le sue miserie. E non sarà migliore solo perché noi da questa parte abbiamo sventolato qualche bandiera, abbiamo disegnato un paio di arcobaleni o abbiamo condiviso la foto di un dottore. Dopo saremo stronzi esattamente come lo eravamo prima. E il mondo farà schifo esattamente come lo faceva prima. Perché è questa la normalità.

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